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marino dopo dimissionidi MARCO BELLIZI

Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, si è dimesso ieri pomeriggio dal suo incarico. La decisione, che, secondo la legge può ancora essere revocata entro venti giorni, è arrivata al termine di una giornata decisamente convulsa. A fare pressioni su Marino era stato in primo luogo il Partito democratico (Pd), che, a seguito di un confronto al vertice, ne aveva considerato conclusa l’esperienza al Campidoglio.
Avevano poi fatto seguito i passi indietro del vicesindaco Marco Causi e dell’assessore ai Trasporti Stefano Esposito e il tentativo fatto in extremis dallo stesso sindaco di raccogliere attorno a sé una squadra disposta a continuare al suo fianco nel mandato ricevuto alle elezioni di circa due anni e mezzo fa. Di fronte alle scarse possibilità di riuscita di quest’ultimo tentativo e davanti all’eventualità di un drammatico redde rationem nel corso di una seduta dell’assemblea capitolina che ne avrebbe comunque votato l’allontanamento, Marino ha poi deciso di registrare un messaggio, nel quale si è rivolto direttamente ai cittadini. Nell’intervento il sindaco, ancora in carica per l’ordinaria amministrazione, ha ricordato di «essersi candidato per cambiare Roma, la mia città, strappando il Campidoglio alla destra che lo aveva infangato sino a consentire l’i n g re s s o di attività criminali anche di tipo mafioso». E ha rivendicato di aver «impostato cambiamenti epocali, cambiato un sistema di governo basato sull’acquiescenza alle lobbies, il sistema corruttivo è stato scoperchiato, i tentacoli tagliati, le grandi riforme avviate». La capitale si è costituita «parte civile» nel processo sulle infiltrazioni mafiose e Marino ha affermato che il suo impegno «ha suscitato una profonda reazione», innescando «fin dall’inizio un lavorio rumoroso per sovvertire il voto dei romani» e ha lamentato l’atteggiamento degli «spettatori poco attenti anche fra chi questa esperienza avrebbe dovuto sostenerla ». Infine, la preoccupazione «per il futuro della città» e il timore «che tornino a governare le logiche del passato, degli illeciti e del meccanismo corruttivo mafioso che purtroppo ha toccato anche parti del Pd e che senza di me avrebbe travolto tutti». Sulla vicenda delle spese sostenute presso alcuni ristoranti e alberghi della capitale a carico dei contribuenti, Marino non si è soffermato, se non per lamentare «una squallida e manipolata polemica», innescata dopo la sua decisione di rendere pubbliche le ricevute fiscali. Pubblicazione che, secondo gli esponenti di opposizione del Movimento 5 Stelle, sarebbe stata presa invece solo per le pressioni da questi esercitate sul sindaco. In ogni caso, lo scenario che ora si apre è in parte segnato dalle norme in vigore. Passati i venti giorni cui ha fatto riferimento Marino, qualora non fossero ritirate le dimissioni, il prefetto Franco Gabrielli — nominato nell’aprile scorso dal presidente del Consiglio Matteo Renzi — dovrebbe scegliere un commissario che rimarrebbe in carica fino alle elezioni da tenersi nella prima finestra utile, vale a dire, in questo caso, nella prossima primavera. Nel frattempo, decadono tutti gli assessori superstiti e i presidenti dei municipi, solo per citare le cariche puramente amministrative. Nelle analisi compiute dagli organi di informazione italiani, si nota la pressoché inedita unanimità nel considerare come inevitabile l’epilogo al quale si è giunti. Marino è caduto sotto i colpi di un’inesorabile serie di episodi che, a seconda dei casi, sono stati quanto meno qualificati come gaffes, gesti francamente inopportuni o superficialità. Lo stesso Renzi era intervenuto nei mesi scorsi per sollecitare un cambio di passo e cominciare a ricostruire: «È onesto — aveva detto il presidente del Consiglio riferendosi a Marino — ma ora deve gov e r n a re » . Perché ora la capitale — a meno di due mesi dall’inizio del giubileo — ha la certezza solo delle proprie macerie. Di certo, c’erano le infiltrazioni mafiose anche nel sistema degli appalti, forti dell’appoggio di funzionari amministrativi fino a qualche mese fa intoccabili. Di sicuro c’è stato un velo oscuro sopra la gestione e la raccolta dei rifiuti e delle discariche mentre è evidente quanto i monumenti di Roma siano stati deturpati dai chioschi dei venditori ambulanti. A Roma non si riescono a liberalizzare e a rendere efficienti alcuni servizi essenziali, a partire dai trasporti pubblici. E la manutenzione delle strade fa sospettare che ci sia molto da indagare anche lì. Ma, sopra a tutto, c’è una sola grande certezza: Roma davvero non merita tutto questo.

© Osservatore Romano - 10 ottobre 2015