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Gandolfini Porta a Portadi Giovanna Arminio

Dopo l’ennesima scorpacciata di dibattiti televisivi, mi è chiaro il motivo per cui negli ultimi anni mi sia convertita ai cartoni animati.

La scorsa settimana, Bruno Vespa aveva “dimenticato” di invitare gli organizzatori del Family Day, ma adesso, considerata la marea umana riversatasi al Circo Massimo, ecco che finalmente il programma di “Porta a porta” di lunedì prevede la partecipazione del portavoce del Comitato “Difendiamo i nostri figli”, professor Massimo Gandolfini.

La trasmissione inizia alle 23:35 - orario per me proibitivo - e, come sapete, si divide in due parti.

Vediamo se indovinate a che ora viene strategicamente messo in onda il dibattito politico!

I primi trentotto minuti della trasmissione sono dedicati a Gabriel Garko e Gigliola Cinguetti.

Costretta dalle circostanze scopro che l’attore è amatissimo dalle donne (portatemele davanti una alla volta, giusto per fare due chiacchiere), funestato da un incidente talmente grave da rendere necessari dieci giorni di prognosi (per chi non lo sa, si danno a cani e porci) e criticato dalle fans (le stesse che lo amano tantissimo?) perché si sarebbe fatto ritoccare male gli zigomi (basta illazioni!).

Ho tanto, tanto sonno, ma resisto.

Gigliola Cinguetti osa cantare tutto il suo repertorio festivaliero, peraltro in playback, mentre, mi sbaglio o Vespa corteggia galantemente la signora?

Mi chiedo per quanto ancora durerà questo strazio quando, finalmente, all’alba delle 00:15 inizia la seconda parte del programma che avrà come ospiti in studio Simona Bonafè (PD), Mara Carfagna (FI), l’editorialista de La Stampa Gianni Riotta, il portavoce del Comitato “Difendiamo i nostri figli” Massimo Gandolfini e, in collegamento da Milano, il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti.

L’orario è improponibile per il pubblico medio che il giorno dopo ha una giornata di lavoro e i figli da accompagnare a scuola.

Ora, ho un dubbio: sono io che penso male o la stragrande maggioranza delle trasmissioni televisive ha un subdolo messaggio da trasmettere che lo spettatore subisce in modo più o meno consapevole?

A guardare la puntata, sembra che il Family Day sia esclusivamente una manifestazione cattolica e per cattolici.

Il primo servizio parte con le interviste ai partecipanti: la madre di sei figli è in piazza per ricordare l’importanza della mamma e del papà nella famiglia, un signore lo è per difendere la famiglia “normale”, un sacerdote straniero maldestramente afferma che i bambini “si spaventeranno” con due mamme e due papa e, infine, chiude la giornalista secondo la quale il Family Day - dove sfilano associazioni e movimenti cattolici e volti noti della politica - difenderebbe la famiglia “tradizionale”.

La scelta degli intervistati non è casuale e non lo sono le parole dette.

Inorridisco per l’uso strumentale delle persone: la bella famiglia non viene intervistata per mettere in risalto la scelta di vivere il matrimonio cattolico come apertura alla vita, ma allo scopo di fare emergere la distanza tra la piazza e il resto della società. Quanti, infatti, oggi, si identificherebbero con una famiglia numerosa?

Evidentemente l’intervistato che parla di “famiglia normale” intendeva dire naturale, cioè composta da uomo e donna, non solo per disegno divino ma anche per essere un dato evidente nella realtà.

Ed ancora, il sacerdote straniero con poca padronanza linguistica, secondo il quale i bambini “si spaventeranno” di fronte a due mamme o due padri, di certo parlava del futuro disagio senza una delle due figure genitoriali di riferimento.

Ora, prima di fare qualche considerazione sul dibattito vero e proprio, chiarisco in due parole che sui grandi temi etici il coinvolgimento della società civile deve essere massimo.

Per i nostri detrattori la cosa più semplice è relegare la questione delle unioni civili, del matrimonio egualitario, dell’omogenitorialità, dell’utero in affitto ad “affare dei cattolici”, quegli esseri strani che fanno tanti figli.

Ormai è chiaro che non è questione (solo) religiosa, ma antropologica, sociale, giuridica alla quale tutti siamo chiamati. E tanto c’era in piazza. Ma ai nostri giornalisti non piace che si veda.

Comincia il dibattito.

La Bonafè (PD) - dopo la terza volta che le viene rivolta la stessa domanda, ossia se “c’è un margine di trattativa su questo problema delle adozioni per le coppie omosessuali” - entra in confusione e dice che “ci sono dei punti della legge Cirinnà su cui c’è ancora in atto un lavoro….c’è un lavoro che continua…ci sono dei punti sui quali ci sono sensibilità diverse…”.

La Carfagna (FI) prima afferma chiaramente che il partito non apprezza l’impianto della legge - sia perchè introduce elementi d’incostituzionalità nell’equiparazione con il matrimonio sia per la stepchild adoption, vista come questione fortemente divisiva - e dopo dice che bisogna dare diritti a chi non ne ha.
Come fossero caramelle!

Per fortuna comincia a parlare Massimo Gandolfini, chiaro, semplice, conciso.
I temi su cui il popolo del Family Day non è disposto ad indietreggiare sono curiosamente quelli elencati dalla Carfagna: matrimonio egualitario e adozione del figlio naturale del partner.

L’unica apertura - assolutamente condivisibile - è il riconoscimento dei diritti civili che emergono nell’ambito della relazione affettiva delle persone omosessuali, molti dei quali già previsti, ma da riorganizzare nell’ambito di una legge quadro (o cornice), cioè una legge o insieme di leggi che contengono i princìpi fondamentali di regolamentazione di una materia specifica.

Da medico, Gandolfini smaschera la mancanza dei cosiddetti diritti sanitari, in quanto nell’ambito del consenso informato il paziente può nominare chiunque (anche slegato da vincoli di parentela) come garante, con conseguenti diritti di visita e di accesso alle informazioni relative allo stato di salute.

Nessuno lo ha detto a Scialpi e a suo “marito”?

Anche il secondo servizio è impiantato sul carattere cattolico dei precedenti Family Day: la differenza tra quello del 2007 e quello del 2015 sarebbe che nel primo la C.E.I. era apertamente schierata a favore della piazza (che affossò i D.I.C.O. di Prodi) e nel secondo, invece, le gerarchie ecclesiastiche avrebbero fatto un passo indietro grazie all’effetto di Papa Francesco.

Questa proprio non l’ho capita.

Ora, non so voi, ma a me sembra di ricordare che il cardinal Bagnasco si sia apertamente pronunciato definendo la manifestazione condivisibile e assolutamente necessaria.

Tralasciando Riotta, editorialista de La Stampa, il cui intervento è trascurabile per vaghezza di contenuto, non mi rimane che Sallusti, direttore de Il Giornale, che chiarisce una cosa a me cara.

La piazza del Family Day non vuole negare l’amore alle persone omosessuali e l’attacco ai divorziati e conviventi presenti è pretestuoso e fuorviante: ricordiamo che la Meloni è stata letteralmente massacrata da chi le augura figli gay e trans e chi, non avendo letto il ddl Cirinnà, le chiede se ha capito che le servirà la stepchild adoption non essendo sposata (mi sto sentendo male).

La piazza, secondo Sallusti, ha detto semplicemente che i bambini non si comprano, che hanno diritto a una mamma e un papà e che il matrimonio egualitario - oltre che esser un obbrobrio dal punto di vista giuridico - intende introdurre un modello antropologico di “famiglie” inesistente in natura (in realtà l’ultimo concetto l’ho liberamente interpretato essendo più mio che suo).

Alla fine della trasmissione, anche Vespa, un po’ stufo, incalza la Bonafè concludendo che con il d.d.l. attuale “l’utero in affitto, per ragioni umanitarie, viene sdoganato”.

Bingo!

Gandolfini riferisce che attualmente i bambini all’interno di coppie omosessuali sono 528 (e non 100.000) ed alcuni provengono da genitori eterosessuali, per i quali non si pone il problema della stepchild adoption, quindi è legittimo ritenere che dei residui casi se ne possa occupare il Tribunale per i Minorenni competente.

Perché in questi casi invochiamo l’intervento dei giudici e non del Parlamento?

Semplicemente perché si tratta degli effetti di condotte vietate nel nostro Paese, sui quali va applicata la legge vigente che vieta la maternità surrogata.

Anche la sedicente ginecologa cattolica, dottoressa Porcu del Sant’Orsola di Bologna - abituata a congelare ovuli, spermatozoi e, quando necessario, embrioni (avete capito bene) - è contro la maternità surrogata e ritiene che si tratti di “un’alternativa non da percorrere…io ritengo che cellule tessuti organi funzioni non debbano essere commerciati…dobbiamo liberarci anche dalle moderne tecnologie che possono renderci schiavi”.

La Bonafè candidamente ammette “….che ci sia il turismo dell’utero in affitto”, ma che “non siamo purtroppo noi a normare le regole degli altri paesi europei“.

No, è vero, non possiamo "normare le regole degli altri paesi europei", ma possiamo, anzi dobbiamo, evitare di promulgare leggi che entrano in contrasto con un’altra legge dello Stato (la n. 40 che vieta la maternità surrogata) e che introducono surrettiziamente e di fatto una pratica non ammessa in Italia.

L’ordinamento giuridico deve avere una sua coerenza interna e non contraddirsi.

I parlamentari sono messi lì proprio per questo, o non era chiaro?

E mentre giungono le prime notizie dal Senato, citando un amico, vi ricordo che non esiste sconfitta nel cuore di chi lotta.

© http://www.lacrocequotidiano.it/ - 3 febbraio 2016

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