eutanasiaDa StranaU. Welby può staccarsi dal respiratore senza soffrire, ma non può chiedere l'eutanasia. Vediamo di spiegare bene come stanno le cose: Welby NON è un malato terminale. Ha comunque diritto a interrompere la respirazione con il ventilatore, cioè ha diritto di sottrarsi a un trattamento medico.

Ha anche diritto ad essere sedato per non soffrire. La legge attuale gli permette di fare questo. Ma lui NON può chiedere di essere ucciso. Non può chiedere l'eutanasia. Questo non è permesso nel nostro paese, mentre questo è ciò che lui sta chiedendo. Welby infatti chiede che gli sia data una dose massiccia di sedativi contestualmente al distacco del respiratore, in modo da essere ucciso. Ha rivolto la richiesta al medico che lo cura, il dottor Giuseppe Casale, ed all'associazione che questo dottore ha fondato, la ANTEA, un'associazione senza fini di lucro che si occupa di assistenza a malati terminali, in particolare con cure palliative: [vedi www.anteahospice.org] Ma il dottor Casale si è rifiutato. A Radio 24, venerdì mattina, ha dichiarato: "Attraverso la nostra struttura, ho visto quasi dieci mila malati terminali: non abbiamo mai avuto richieste di eutanasia. A Welby dico non mi chiedere eutanasia, non mi chiedere di ucciderti, io posso aiutarti". "A Welby - ha detto Casale - vedendolo sofferente dal punto di vista spirituale e psicologico ho detto, se vuoi ti posso addormentare'. Per l'oncologo l'unica possibilità è quella di togliere "coscienza ma soprattutto la sofferenza e poi quando sarà il momento, quando le condizioni vitali verranno meno, si staccherà il respiratore, quando ai fini della sopravvivenza non cambia nulla". Sempre venerdì Casale ha rilasciato un'intervista al Sole 24 ore, irreperibile integralmente in rete, ma dagli stralci riportati la spiegazione è ancora più chiara. Potete leggerne qua: [vedi tsplus.splinder.com]

e anche una breve dell'ANSA qua: [vedi www.wallstreetitalia.com]

Insomma, non è vero che a Welby non è permesso di porre fine alle sue sofferenze. Welby può essere aiutato nel migliore dei modi ad affrontare la morte, accompagnato da medici che lo hanno in cura e che conoscono bene il suo caso. Ma Welby vuole essere ucciso. E questo non si può. Molto chiara a riguardo anche l'intervista a Marco Maltoni, su Avvenire di giovedì scorso: [vedi www.avvenireonline.it]

Non c'è bisogno di una legge per il "caso Welby", non c'è bisogno di una legge per chi vuole rifiutare un trattamento e non vuole comunque soffrire. Le regole ci sono già, e permettono il rifiuto di un trattamento e la sedazione per eliminare la sofferenza. Piuttosto, Welby è una persona con una grande sofferenza nella psiche e nello spirito, che non riesce più a dare un senso alla propria vita. Quello di Welby è un caso straziante strumentalizzato per fini politici, dice il dott. Casale. Bisogna cominciare a rendersi conto che forse Welby non sarebbe arrivato a chiedere di morire se avesse accettato di farsi sostenere non solo nella respirazione:

E in questa agenzia ANSA
è ben spiegata la situazione di Welby, proprio dal punto di vista clinico, sempre dal Dott. Casale, l'esperto in cure palliative.

Insomma: il "caso Welby" è una delicata e straziante vicenda umana che non ha bisogno di una legge apposita per essere risolta, e che non rivela nessun vuoto legislativo. Welby può staccare il respiratore ed essere sedato, in modo da poter morire senza soffrire. Ma lui chiede di essere ucciso, e questo non si può. Lui chiede l'eutanasia, e sull'eutanasia noi diciamo no.

Sgombrato il campo da questo equivoco, su cui si è costruita l'incredibile campagna di questi giorni, sembra proprio che la sofferenza di Welby non sia tanto fisica - a quella si può comunque porre rimedio. Oggi per esempio gli hanno messo una cannula più larga e respira meglio - quanto "psichica": vede la sua vita vuota e senza senso, e d'altra parte ha rifiutato qualsiasi altro tipo di sostegno: rileggete le parole di Casale.

Uno dei risultati di tutta questa campagna mediatica è che, in nome dell'autodeterminazione, i radicali sono riusciti a far entrare la magistratura in una dolorosissima vicenda personale. Alla faccia dell'autodeterminazione! Ma non erano loro a protestare che lo stato e le istituzioni non si dovevano intromettere nella vita privata delle persone?