Da E' Vita. Umberto Veronesi non conosce riposo, non vuole permettere che fondamentalisti, assolutisti, dogmatici di ogni genere, come ama definirli, infettino il mondo con la loro ignorante superstizione. Per questo li combatte, producendo a ritmo continuo libri-interviste in cui cambiano i partner e gli editori ma rimangono i concetti fondamentali di sempre: difesa dell’aborto, della fecondazione artificiale, della manipolazione genetica e della clonazione. Se editori diversi continuano a pubblicare, benché tante volte anche le frasi e le espressioni ritornino uguali, un significato e un riscontro di vendite ci deve essere. Per cui vale la pena analizzare il fenomeno.

L'ultima fatica di Veronesi si intitola La libertà della vita, ed è un dialogo con un altro protagonista del libero pensiero, il filosofo Giulio Giorello. Due giganti a confronto sui grandi temi della vita, della scienza, dell’amore. La presenza di Giorello garantisce una cosa: l’assenza di quegli errori marchiani, di quelle date sbagliate, di quei riferimenti storici inopportuni che solitamente impreziosiscono gli interventi di Veronesi (tipo l’Impero romano che era «in decadenza» nel VII secolo). Ma veniamo al sodo.

Per iniziare, secondo una strategia affinata, occorrono alcune boutade, come l’affermazione secondo cui la Chiesa sarebbe sempre e comunque per il dolore, fino – se possibile – a contrastare le cure palliative e l’utilizzo di farmaci antidolorifici, o come la storiella dei medievali che in nome di Dio si opponevano all’invenzione degli occhiali per i miopi. Si crea così lo sfondo grottesco su cui innestare l’idea fondamentale: sappia il lettore del libro che i due protagonisti del dialogo sono in lotta permanente contro entità spaventose, di una ignoranza e di una rozzezza senza pari.

Fatta la premessa, lo scienziato Veronesi può sbizzarrirsi a sostenere, anzitutto, che il compito affidato dall’evoluzione all’uomo (animale senz’anima) è solo quello di fare figli: «Dopo aver generato i doverosi figli e averli allevati, il suo compito è finito, occupa spazio destinato ad altri», per cui «bisognerebbe che le persone a cinquanta o sessant’anni sparissero» (p.39). Si passa poi a Dio, che Veronesi liquida in poche righe, come una invenzione dell’uomo, di cui nella Russia comunista nessuno in fondo sentiva il bisogno. Del resto «anche gli elefanti pregano» (p.47) e la fede degli uomini nasce di fronte ai temporali, ai lampi e ai tuoni, per paura... (evidentemente permane, purtroppo, anche nell’era del parafulmine, ma solo come residuo primordiale). Ciò non toglie, riprende Veronesi, che si debba dialogare anche con i credenti: glielo si può concedere, no?

Il culmine di un libro che è veramente modesto viene raggiunto nell’ultimo capitoletto, là dove si parla di clonazione, terapeutica e riproduttiva. «E perché non provare a immaginare per i tempi futuri – si chiede l’illustre oncologo – piccoli gruppi che si riproducono e si diffondono per clonazione?» (p.83). A questo punto Veronesi immagina il caso di una donna bella e intelligente che voglia un figlio, senza uomini, perché li odia, e ricorra quindi alla clonazione. Come e perché impedirglielo, chiede Giorello, secondo cui tutto ciò che uno desidera può automaticamente farlo (senza rispetto alcuno per l’innocente o il debole che vi è coinvolto): «A chi fa male la scelta della nostra ipotetica donna che odia l’intero genere maschile?». E Veronesi risponde: «Non credo che di per sé la mancanza dell’eventuale padre possa costituire da sola una ragione contro quel tipo di clonazione» (p.89). E prosegue: «Ha senso, e se sì dove è il senso, che per avere un figlio ci vogliano sempre comunque un maschio e una femmina?... Dopotutto non pochi esseri viventi primordiali si perpetuano per autofecondazione. Certo, per specie evolute la dualità maschio-femmina è apparsa sempre inderogabile.

Ma possiamo dirlo ancora, dal momento che siamo capaci di manipolare il Dna e di clonare? Perché tanta paura della clonazione se l’abbiamo davanti agli occhi ogni volta che assistiamo a un parto gemellare? Come tu dicevi: perché mai dovremmo per principio vietare alle donne di clonare se stesse?» (p.91).

Detto questo Veronesi conclude addirittura dicendo che la clonazione è in realtà il metodo migliore di riproduzione della specie umana, perché «il desiderio sessuale cesserebbe così di essere uno dei maggiori elementi di competizione» e nessuno «sarebbe più ossessionato dalla ricerca del partner». Nascerebbe così una società «quasi felice», in cui ognuno vivrebbe «quell’ansia di bisessualità che è profondamente radicata in noi», e «avremmo davanti a noi il Paradiso terrestre».

Finisce così, con questa splendida promessa l’ennesima filippica dello scienziato laico, che vuole per tutti, in nome della libertà e della scienza, figli in provetta, figli clonati, uomini ermafroditi e una società senza l’amore tra uomini e donne. Poi dicono che è la Chiesa a essere sessuofobica...