Domenico Bonvegna

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ipocritiContinuo il mio tour tra i tanti privilegi presenti nel nostro Paese. Parto dal Cinema, forse non si tratta di casta ma di una gigantesca lobby o di una corporazione ostile e combattiva sostenuta dal sistema pubblico che ha alimentato una colossale ‘Sprecopoli’, scrivono Forbice e Mazzuca nel libro I Faraoni, edito da Piemme. Nel mondo della celluloide troviamo faraoni molto potenti, e anche qui si difendono i privilegi e il “diritto” a sprecare le risorse pubbliche in nome della Cultura, tra l’altro tutto da verificare se si tratta veramente di cultura. Spesso ad ogni finanziaria, questi faraoni, annunciano manifestazioni per “salvare il cinema”, in realtà si tratta di “salvaguardare i propri interessi di bottega: continuare a realizzare film senza alcun pregio culturale e, soprattutto, senza il minimo collegamento con il mercato”.

Il cinema italiano è una bella torta: vale 300 milioni di euro di fatturato e produce quasi 90 opere l’anno, di cui solo pochissime riescono a ripagarsi i costi sul mercato (sale, dvd, diritti televisivi). Chi lavora in questo mondo ha sempre cercato di ricavare successi e risorse economiche non dal mercato, ma…dai fondi pubblici: quelli erogati dallo Stato in primo luogo, ma anche da Regioni, Province e Comuni. “I contributi a fondo perduto e altri contributi agevolati sono storicamente dipendenti dall’appartenenza o vicinanza politica ai partiti della sinistra, il Pci (il Pds dopo e in seguito l’Ulivo e il Partito democratico) hanno egemonizzato largamente le categorie di autori, produttori, distributori e sceneggiatori”. Togliatti con il suo Pci aveva un piano strategico preciso di “conquista” politica del cinema (ma anche del teatro e della musica) continuata poi dai suoi eredi, fino al Pds. Forbice e Mazzuca sostengono con forza: “il mondo del cinema si è ritrovato pertanto a essere sempre allineato alle direttive di Botteghe Oscure, da cui venivano le designazioni ai centri di potere della filiera: dalle commissioni ministeriali che decidevano quali film realizzare (senza preoccuparsi troppo dei costi e dei possibili ricavi), ai registi, fino ai cosiddetti critici di sinistra, regolarmente concordi nel bocciare l’opera dell’autore indipendente e ‘fuori dal coro’ così come nel lodare un film modesto ma di un autore politicamente ‘affidabile’”.

Pertanto sul finanziamento delle opere cinematografiche, c’è stato un generale consenso, era scontato che lo Stato, la collettività, cioè noi contribuenti, dovesse consentire a vecchi registi, o magari giovani, soprattutto se provenivano dalla scuola quadri del Pci, il “seminario rosso” delle Frattocchie, di realizzare i loro film. “Un sistema di finanziamento a pioggia, che non teneva in alcun conto la qualità dei prodotti, ma solo, se non esclusivamente, il colore politico dello sceneggiatore, del regista e del produttore”. Sistema perfezionato e potenziato negli anni novanta da Walter Veltroni.

In un ben documentato libro-dossier, ormai introvabile, Cinema, profondo rosso, di Luisa Arezzo e Gabriella Mecucci, edito nel 2007 da “Libero” e dalla Free Foundation, si sostiene che con la riforma Veltroni, “il cinema italiano viene consegnato nelle mani di una selezionata clientela di sinistra (produttori, sceneggiatori, registi, attori), alla quale sono stati regalati centinaia di milioni di euro per produrre film di scarsa qualità, quasi sempre accompagnati da clamorosi flop al botteghino, ma con una costante: la militanza a sinistra”.

Lo Stato italiano ha investito nel cinema una cifra gigantesca: circa 730 milioni di euro per produrre 500 film, di cui solo 300, sono arrivati nelle sale, molti rimanendoci non più di un giorno. Nelle casse statali sono rientrate un centinaio di milioni scarsi, a fronte degli 800 usciti. Forbice e Mazzuca, fanno un lungo elenco di alcuni film rivelatesi autentici flop: gli incassi al botteghino sono irrisori, a fronte di grossi finanziamenti statali. In coda al lungo elenco dei flop c’è La medaglia di Sergio Rossi, con una manciata di ricavi (4.058 euro) e 1.115.546 di finanziamento pubblico. Il flop più clamoroso, Donna di piacere di Paolo Fondato, con soli 3.344 euro di incassi a fronte di un finanziamento statale di 1.214.706. Addirittura nel 1999 c’è stato un film che ha ricevuto dal ministero 352.223 euro di finanziamento ed ha ricevuto un incasso di appena 995 euro: probabilmente neppure parenti e amici del regista, Juan Josè Jusid, son andati a vedere il capolavoro in questione (intitolato Bajo bandera).

Teatro. E’ difficile stabilire quante risorse pubbliche vengono riversate nel territorio delle iniziative teatrali, si tratta di un fiume che si disperde in mille rivoli e ramificazioni. “Sono talmente tanti (centinaia di migliaia) gli spettacoli e gli ‘eventi’ organizzati, con finanziamenti pubblici, che calcolare la somma complessiva dei contributi erogati da Comuni, Province, Regioni, e persino Comunità montane è quasi impossibile”. Solitamente gli amministratori finanziatori (diversi milioni di euro l’anno) di questi eventi sono di sinistra.

“Con gli spettacolini e le imitazioni delle ‘notti bianche’ della Roma veltroniana -scrivono Forbice e Mazzuca - gli assessori, piccoli ras politici hanno potuto alimentare le loro clientele, le loro amicizie, le associazioni e i club del Comune. Finanziamenti, anche modesti, a pioggia: perché l’importante non è la qualità degli eventi, ma la quantità e l’opportunità di accontentare più gente possibile. I politici locali sono convinti che, prima o poi, il ritorno (elettorale) ci sarà, naturalmente a spese dei contribuenti”.

Tutte le volte che si leva una voce contro gli sprechi, ci sono sempre politici, giornali, registi, attori, solitamente di sinistra, identici a quelli del settore cinematografico, che protestano in nome del “no ai tagli alla cultura”. “Salvo poi lamentarsi che i teatri rimangono deserti e i giovani preferiscono frequentare palestre e discoteche.

Il testo I Faraoni propone una tabella dove descrive dettagliatamente il deficit complessivo dei 14 teatri lirici italiani, nel 2007 ammontava a più di 160 milioni di euro, le sovvenzioni dello Stato sono state pari a 229.646.000 euro.

I Giornali. Si tratta di un’industria largamente sovvenzionata dallo Stato e che ci costa l’incredibile cifra di 700 milioni di euro l’anno, ma ci sono anche almeno altri 300 milioni che arrivano da vari ministeri, ed enti locali. Complessivamente si arriva fino a un miliardo di euro di contributi. Il calcolo è stato fatto dal giornalista, Beppe Lopez, nel libro, La casta dei giornali, Stampa alternativa-Rai Eri, 2007. Un flusso ininterrotto di denaro che arriva alla stampa di partito (compresa quella pressoché clandestina, giornali fantasma o finte cooperative). Ci sono giornali che attingono esclusivamente alle risorse statali con la diffusione di poche centinaia di copie. Comunque la parte del leone dei finanziamenti pubblici spetta ai grandi gruppi industriali, 500 milioni di euro l’anno, al Corriere della Sera, Repubblica, La Stampa, Il Sole 24Ore.

Naturalmente ci sono altre caste che non ho affrontato nel mio tour, come la sanità, le banche, gli sprechi di denaro pubblico delle grandi opere e operette etc. sarà per un’altra occasione. In conclusione mi preme ricordare da dove sono partito, perché sono stato “spinto” ad affrontare l’argomento delle caste.

L’ho fatto perché sono stato “provocato” dalle aberranti soluzioni alla crisi economica, o al debito pubblico, che i politici e tanti cantastorie che giornalmente fanno: quasi sempre per loro l’unica soluzione possibile è quella di ritoccare ulteriormente il tetto delle pensioni di anzianità, cioè fare andare in pensione il più tardi possibile gli italiani. Inoltre sono stanco di sentire discorsi di 40 anni e oltre di contributi, di pensione a sessantacinque anni per le donne, sessantasette anni per gli uomini; sarà anche vero che la vita si è allungata ma poi verifichi che in realtà c’è gente che muore due giorni prima di riscuotere la prima rata di pensione. Addirittura per convincerci che continuare a lavorare è bello arruolano ultrasettantenni dello spettacolo che intervistati, raccontano di sentirsi bene e di lavorare in piena letizia. Così a costo di apparire un po’demagogico, qualunquista, o Grillo-dipendente, ho affrontato il tema delle caste e degli sprechi andandomi a leggere alcune opere ben documentate che ho presentato in questi sette interventi. Finisco con una nota comica, anche se c’è poco da scherzare: penso di aver fatto come in un film di Paolo Villaggio, non ricordo quale, quando Fantozzi, nell’imminenza di una importante tornata elettorale, passava tutto il giorno a consultare minuziosamente tutti i giornali per conoscere a chi doveva dare il proprio consenso elettorale, non poteva permettersi di sbagliare, c’era in ballo la sua carriera di ragioniere.

 

 

Rozzano MI, 1 ottobre 2001

S. Teresa del Bambin Gesù vr. Dottore                                   DOMENICO BONVEGNA

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