Domenico Bonvegna

Uno spin doctor politico per l'Italia

mirror de www.ilcattolico.it

per aiutare una coscienza politica e le scelte referendarie.

NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili.

Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta. Per saperne di piu'

Approvo

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Navigando questo sito, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più vai alla pagina della legislazione europea e clicca qui

 Qualche giorno prima della chiusura della campagna elettorale siciliana, il candidato presidente Nello Musumeci, in un comizio nella cittadina messinese di S. Alessio ha fatto delle dichiarazioni che vanno contro quelle facili illusioni e luoghi comuni a cui ancora molti italiani probabilmente credono. Il candidato della Destra, dopo aver descritto il quadro desolante della Regione siciliana attuale, (è probabile che per i prossimi mesi non si riuscirà a pagare gli stipendi dei forestali e dei precari, non era mai accaduto), fa delle affermazioni insolite e controcorrente per un politico che dev’essere votato. “Per almeno quindici anni non si faranno più concorsi alla Regione, - ha detto Musumeci - perché bisogna stabilizzare oltre 40 mila precari, in pratica chi ha governato prima la Regione ha tolto il futuro a due generazioni”. Inoltre, se sarà eletto presidente, per ricostruire la Sicilia, promette una serie di tagli alla politica della Regione, e poi chiaramente ha detto: “andrò in giro per la Sicilia a dire a ogni siciliano non aspettarti nulla dalla regione…Saranno anni difficili, anni di sacrifici, chi vi dice il contrario è un bugiardo”. Musumeci, ha dato una buona prova di onestà intellettuale che è rara trovare nei vari candidati. Per la verità anche lo scatenato Cateno De Luca nei suoi numerosi comizi è stato abbastanza chiaro, sul futuro nero della Regione Sicilia e quindi si è astenuto dal fare false promesse. E’ iniziata l’opera di disincanto dei politici su certi luoghi comuni a cui ancora credono in molti? Speriamo di sì.

Su questo argomento qualche anno fa il professore Luca Ricolfi, economista, insegnante di analisi dei dati, all’università di Torino, ha pubblicato un ottimo libro, Illusioni italiche, edito da Mondadori, dove raccoglie una serie di illusioni , li chiama, credenze empiriche false, semplicemente indimostrate, che sono poi lontane dai fatti. Il professore esamina molte questioni cruciali, dalla giustizia, alla criminalità, dall’immigrazione alla povertà, dalla scuola al fisco, dalla sanità all’annosa questione del Mezzogiorno. Son venute fuori quarantuno “esercizi di disincanto”, corredate da una cartina o da un grafico. Da osservatore disincantato, si propone di far parlare i fatti, di ragionare sui dati a disposizione, senza partire mai da preconcetti di carattere ideologico. E questo non è poco per uno che nonostante tutto, sembra amare nel cuor suo la sinistra.

Ricolfi sa essere neutrale e molto realista sui vari argomenti affrontati, per lo meno pone dei problemi. Già nell’introduzione, sostiene che la mente umana a volte non è guidata dalla “rappresentazione fedele della realtà, bensì dall’elaborazione di una rappresentazione rassicurante, dove per rassicurante dobbiamo intendere capace di minimizzare ogni sorta di dissonanza, di disarmonia, di squilibrio, tutte fonti di malessere, ansia o stress”. Il professore fa un esempio di credenza fattuale, che se adottata, sembrerebbe di tradire la propria fede politica. E’ il caso di certi uomini, magari intellettuali di sinistra, che si sono sempre rifiutati di “vedere” i dati che dimostrano l’alto tasso di criminalità degli immigrati. A impedirlo è il suo essere uomini di sinistra: “presumibilmente perché la credenza fattuale ‘gli immigrati delinquono più degli italiani’ non poteva non creare dissonanza nel sistema di credenze, normative e fattuali, tipico dei militanti di sinistra”. E così a volte, si arriva al paradosso di cancellare i fatti se mettono in forse le proprie convinzioni.

Secondo la teoria di Festinger, sono pochi quelli che sopportano le dissonanze: “quasi tutti sono allenati a manipolare i fatti per restare in equilibrio, ossia per proteggere la propria identità e i propri valori dalle minacce provenienti dall’esperienza”.

Il professore Ricolfi fa delle affermazioni probabilmente controcorrente, quando sostiene che nella nostra società della comunicazione e del pluralismo, si è passati dal piano dei fatti alle credenze empiriche. Su importanti questioni si assiste a un confronto di opinioni, tutte sullo stesso piano, come se si trattasse di gusti personali. “E’ quasi completamente scomparsa l’idea, un tempo data per scontata, che sulle questioni di fatto non contano le opinioni, per loro natura soggettive e infinitamente variabili, ma le prove esibite da soggetti imparziali e competenti”.

Naturalmente a imbrogliare il panorama della realtà fattuale, un ruolo fondamentale e particolarmente oscurantista viene giocato dai media, soprattutto nei casi in cui si considerano e autoproclamano indipendenti.

E’ venuto fuori un quadro dell’Italia sorprendente, che farà certamente discutere. Qualche esempio, molti lamentano la progressiva contrazione del potere di acquisto dei salari, la colpa per Ricolfi non è solo del mancato aumento degli stipendi, ma la comparsa, in pressoché tutte le famiglie, di una serie di nuove voci di spesa, come quelle per il cellulare e le nuove tecnologie, inesistenti una ventina d’anni fa.

Si parla molto delle disfunzioni della giustizia penale, molto poco di quella civile, probabilmente perché si occupa di fatti meno sanguinosi e traculenti. Eppure è la giustizia civile il vero handicap dell’Italia. Se funzionasse meglio, non solo i diritti dei cittadini sarebbero meglio tutelati, ma soprattutto, l’Italia attirerebbe più investimenti esteri. Dalla cartina emerge che i distretti giudiziari meno efficienti si trovano al Sud, dove tra l’altro i processi durano molto di più del Nord. I processi sono lenti? Vero. Ma perché? Giusta l’opinione che la colpa è dell’ordinamento delle leggi troppo complicate e troppi gradi di giudizio. Giusto anche che mancano le risorse, come sostengono gli addetti ai lavori. Ma per Ricolfi anche con tutti questi impedimenti, i processi potrebbero essere molto più veloci, soltanto se i responsabili degli uffici avessero la volontà e la forza di organizzare radicalmente il lavoro dei magistrati.

L’allarme criminalità in Italia è abbastanza fondato, il tasso di criminalità degli stranieri sia regolari che irregolari è alto rispetto agli italiani, in questo caso le credenze del senso comune sono in linea con le statistiche ufficiali. Allora è logico essere razzisti? Si chiede Ricolfi, assolutamente no, “perché la maggiore pericolosità degli stranieri non dipende da loro ma da noi”. La colpa è che gli “stranieri più pericolosi, scelgono il nostro Paese semplicemente perché sanno che da noi rischiano di meno”.

Certo la questione immigrati riscalda gli animi, soprattutto dopo alcuni fatti di violenza che li vedono coinvolti, in particolare quella sessuale. Ma gli immigrati, secondo Ricolfi, a volte sono un modello da seguire, soprattutto per quanto riguarda la disponibilità al lavoro e al sacrificio. Anche perché in Italia si riesce a creare quasi soltanto posti di lavoro poco appetibili, che gli italiani rifiutano e gli stranieri accettano, scrive il professore Ricolfi. In pratica c’è la indisponibilità ad accettare lavori poco qualificati. Perché gli italiani, sono troppo istruiti? Nemmeno per sogno, se stiamo ai dati Pisa che ci ricordano che la preparazione media dei nostri studenti è ampiamente sotto la media europea.

Tra i più importanti “esercizi di disincanto” che il professore fa è quello di dimostrare che la povertà è più diffusa al Sud, solo perché la qualità dei servizi pubblici è scarsa e nelle maggiori disuguaglianze nella distribuzione del reddito che si registrano al Sud. “C’è una casta politico-burocratico-affaristica, spesso collegata alla criminalità organizzata, che riesce ad appropriarsi di una fetta consistente delle risorse che affluiscono al Sud, e c’è un vero e proprio proletariato iper-sfruttato o emarginato che non riesce neppure a raggiungere il livello di sussistenza”.

Il discorso potrebbe continuare con altri “esercizi di disincanto” , sarà per la prossima volta.





 

Rozzano MI, 26 ottobre 2012

S. Alberto il Grande Re                                                                           DOMENICO BONVEGNA

                                                                                                               Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.