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divorzioDagli antidoti di R. Cammilleri.
Tra le tante cose che non si possono dire in tempi di libertà di parola c’è quanto scrive lo psicologo Claudio Risé nella sua rubrica «Il buon selvatico» sul settimanale «Tempi» del 13 dicembre 2007 a proposito di separazioni e divorzi. Risé parla delle «tragedie del mondo sommerso dei separati, uomini che dopo aver ricevuto l’atto giudiziario della moglie che chiedeva la separazione, hanno perso tutto, sposa, figli, beni, lavoro, in situazioni di palesi ingiustizie giuridiche, falsità peritali di illustri professionisti, sciocchezze sottoscritte da operatrici sociali incompetenti o di parte».

Già, un ministero per le pari opportunità maschili è quel che forse, ormai, ci vorrebbe. Ma Risé osa il massimo del politicamente scorretto: «Come gli psicologi sanno, alla violenza maschile, più fisica, si contrappone una (sovente assai più sistematica) violenza femminile, psicologica e verbale, intrisa di doppi messaggi, i cui effetti sulla psiche dell'uomo sono spesso devastanti».

Quando possa essere vendicativa una donna, poi, lo sanno anche i proverbi. Quanto possa essere adorabilmente capricciosa e dolcemente ricattatrice una donna durante il fidanzamento, e quanto possa rivelarsi cattiva, meschina, petulante, cocciuta e malignamente stupida, nonché capace di portare al parossismo dell'esasperazione in corso di matrimonio lo sa solo chi c'è cascato. Ma, come si è detto, in tempi di «quote rosa» tutto ciò è tabù.

Non c'è nulla che possa moltiplicare i tabù come il relativismo agnostico; non c'è nulla di meglio dell'ateismo per centuplicare l'inquisizione. Infatti, che da quando le donne hanno ottenuto la c.d. «parità» si è aperto il Vaso di Pandora della conflittualità, non si può dire.
Perciò non lo diciamo.