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Questo è un editoriale sulle regole e non su Eluana o Beppino, quindi mettete da parte insulti e maledizioni almeno fino ad aver letto l'ultima riga. Oggi tutti i giornali - con tutti i loro opinionisti in gran spolvero - ci raccontano dell'immensa ferita che Berlusconi avrebbe inflitto alla democrazia, ci spiegano la sua sconfinata arroganza, e il suo inaudito ardire nella sfida con Napolitano. Sull'altro versante, il capo dello Stato viene descritto dolente e pensoso, mentre asserragliato nei suoi quartieri con pochi fedelissimi, tenta di respingere l'assalto del barbaro Cavaliere e infine ne esce vincitore sebbene scosso e ferito.

Ma le cose non sono andate così, anzi somigliano molto di più alla versione opposta. C'era il governo e la sua maggioranza unanimemente schierati nel tentativo di salvare la vita di Eluana Englaro, tentativo ormai trasformatosi in una corsa contro le ore. E c'era l'unico strumento possibile, secondo le regole, per interrompere il conto alla rovescia che già da ieri scandisce il tempo alla clinica la Quiete: un decreto legge immediatamente efficace a porre uno stop al quel conteggio.

Era possibile un simile decreto? I pareri, nel governo, tra i parlamentari e persino tra i costituzionalisti di area, erano discordi, ma l'idea era che valesse la pena provare, trovare una soluzione. Di quel decreto infatti sono venute alla luce due versioni. La prima prevedeva di prendere di peso il testo di legge già in discussione al Senato, quello approntato dal relatore Calabrò, e trasformarlo in un decreto. Ma l'ipotesi non ha retto a lungo al vaglio dei giuristi e a quello dello stesso Quirinale, troppo palese era il conflitto tra le prerogative del governo e quelle del Parlamento già a lavoro su quello stesso testo.

Nasce così l'ipotesi "Onida", anche se l'illustre costituzionalista, vista la mala parata, ha poi disconosciuto il suo intervento. L'idea era di ridurre il decreto a una norma ponte che in sostanza dicesse: fino a quando non ci sarà una  legge sul testamento biologico l'alimentazione e l'idratazione non possono essere sospese da chi assiste soggetti non in grado di provvedere a se stessi.

La soluzione trovata, ormai quasi a ridosso del Consiglio dei ministri di ieri, era apparsa subito convincente ai più e in grado di rispondere alle obiezioni giunte sino a quel momento. Non si sovrapponeva al lavoro del Parlamento e non lo ipotecava, colmava però quello stesso vuoto normativo che aveva indotto la corte di Cassazione a pronunciarsi sul caso Englaro, e - secondo i proponenti - aveva sia i requisiti di necessità e urgenza che un fondamento generale o "erga omnes" come dicono i giuristi. Il decreto infatti entrava in azione per tutelare il bene della vita di Eluana, la cui perdita sarebbe stata irreversibile quando una legge definitiva fosse intervenuta a stabilire il divieto di ucciderla. E d'altro canto si riferiva ad una generalità di casi simili - non era solo un "decreto Eluana" - poiché ci sono almeno 300 situazioni simili in Italia su cui la norma avrebbe avuto effetto. Restava il dubbio più grande: il conflitto con la sentenza definitiva della corte d'Appello. Sempre Onida, aveva però suggerito agli estensori del decreto, che nel caso Eluana non si era dinanzi all'accertamento autonomo di un diritto ma di un provvedimento di volontaria giurisdizione. In sostanza la corte non si era mossa di sua iniziativa ma su sollecitazione dell'interessato, Beppino Englato, si era dinanzi cioè ad un decreto più che a una sentenza.

Altri esperti avevano poi osservato che il testo del decreto non conteneva alcun riferimento ad Eluana, ma era generico e generale, quindi promulgabile, salvo poi stabilire, in sede di interpretazione se poteva applicarsi o meno ad Eluana. E' d'altronde vero che il legislatore non può in teoria agire contro il "giudicato", ma se si produce una nuova norma che riempie il vuoto normativo che ha prodotto e giustificato quel "giudicato", si può sostenere il suo effetto retroattivo, specie se viene inteso come più favorevole ai casi coinvolti dalla sentenza.

Insomma come vedete si tratta di regole, di interpretazioni, di pesi e contrappesi: non si lavorava a strappi, a ferite, a colpi di mano. Il governo tentava di camminare in equilibrio su quella linea stretta e tortuosa che abbiamo faticosamente (e noiosamente) descritto nella speranza che portasse alla salvezza di Eluana, senza cadere nel baratro dell'eversione. Un tentativo sincero, credo, a meno di essere sempre dietrologi, complottisti e iperideologici, di salvare vita e regole.

Molti hanno conservato dubbi fino all'ultimo. Io stesso non ero fino in fondo convinto che la soluzione del decreto reggesse a qualsiasi urto. E mi sembrava rischioso anche se suggestivo sostenere che davanti al valore anche di una sola vita le regole e i formalismi andassero ammainati. Così come non ero convinto che trasformare la battaglia per la vita di Eluana  in un simbolo bastasse di per sé a rendere tollerabili al tessuto democratico gli eventuali strappi che si fossero prodotti. I simboli hanno questa carica "terapeutica" sulle democrazie quando sono profondamente radicati e condivisi, non quando sono controversi e divisivi.

Ma si trattava di dubbi non di certezze tali da gridar scandalo davanti a un tentativo che mi sembrava teso non già all'interesse di questa o di quella parte politica ma a risolvere un autentico conflitto etico. Ero invece e sono tutt'ora sorpreso dai toni degli avversari di questa soluzione. A leggere i giornali di oggi o le dichiarazioni di ieri, sembra che Berlusconi si sia impegnato in uno scontro epico per salvare, chessò, Fiorello dalle grinfie di Sky, o Villa Certosa dalle minacce degli ambientalisti. Non c'è nessuna comprensione della posta in gioco, ma solo la solita rappresentazione del Cavaliere Nero, un po' Hitler un po' Caligola.

Veniamo ora alle mosse del Quirinale. Se aveste dato retta ai giornali di ieri mattina, l'ipotesi del decreto-salva Eluana doveva già essere morta e sepolta. Possiamo solo immaginare l'azione della presidenza della Repubblica su quirinalisti e direttori per far emergere il dissenso totale di Napolitano. Il risultato però era stato perfetto: nessuno dava più credito all'ipotesi che palazzo Chigi avrebbe proceduto contro la volontà del capo dello Stato. Possiamo solo immaginare quindi il disappunto di quirinalisti e direttori quando, ieri pomeriggio,  si sono visti smentire dal governo.

Come dottamente ci viene spiegato oggi, quando l'esecutivo si appresta a varare un decreto legge, si attiva sempre una diplomazia riservata e silenziosa, che viaggia tra i palazzi del potere e previene, quando possibile, scontri e dissidi palesi. Niente di male, anzi la "moral suasion" è una prerogativa propria del presidente della Repubblica. Nell'ombra accogliente di questi colloqui, si evita che le tensioni e i dissidi tra i poteri giungano all'opinione pubblica, si smussa, si aggiusta, si sopisce.

Questa volta però è successo qualcosa di diverso. Il Quirinale non è stato felpato e silenzioso come da tradizione, ma ha gridato ai quattro venti il suo no. L'arrivo di una lettera di Napolitano a Berlusconi, che oggi i giornali sostengono fosse destinata a rimanere gelosamente riservata, era stato ampiamente anticipato dalla agenzie, prima ancora che il consiglio dei ministri iniziasse. Anzi dal Quirinale era giunta una richiesta a Palazzo Chigi di inversione dell'ordine del giorno e semmai di sospensione dei lavori in attesa che la lettera fosse giunta, letta e meditata. Insomma al governo era stato più che esplicitamente richiesto di rinunciare ad una sua facoltà, quella di legiferare.

Il presidente della Repubblica ha tutto il diritto di ritenere sbagliato il decreto su Eluana e ha il sacrosanto potere di respingerlo negando la sua firma. Ma non ha la facoltà di chiedere al governo di non emanarlo, non nel nostro ordinamento. E' bene che i conflitti tra istituzioni si sopiscano ogni volta che è possibile, ma quando non è possibile, come in questo caso, è bene che ogni potere si assuma le sue piene e pubbliche responsabilità: il governo quella di andare avanti con la strada del decreto, il Quirinale quella di non firmarlo.

Abbiamo spesso difeso e apprezzato Giorgio Napolitano sulle pagine di questo giornale. Questa volta ci sentiamo di osservare che si è spinto troppo oltre e che nel comprensibile tentativo di evitare un contrasto istituzionale ne ha creato uno ben maggiore a cui il governo non poteva sottostare senza ammettere un ben strano precedente: il controllo preventivo del Quirinale sulla sua azione politica.

Il decreto che Napolitano alla fine non ha firmato poteva non essere convincente fino in fondo, poteva essere aperto a diverse interpretazioni, poteva anche non essere firmato dal capo dello Stato per sue legittime e inviolabili convinzioni, ma non meritava di essere condannato prima nascere come se fosse  un'ingiuria o un'eresia democratica.

Ora il governo ha avviato l'iter del disegno di legge che ricalca il contenuto del decreto. Visto che il Senato ne inizierà a parlare lunedì c'è da credere che nella migliore delle ipotesi l'approvazione definitiva della Camera possa giungere non prima di venerdì prossimo. Troppo tardi per Eluana, troppo tardi per tutti.

di Giancarlo Loquenzi
© L'Occidentale