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Tra le vittime lasciate sul campo da quello che chiameremo per brevità, e scusandocene con l’interessato, il caso Boffo, ce n’è una di cui sin qui non si è praticamente parlato. Si chiama garantismo. E non riguarda solo i diritti di indagati e imputati.

Intendiamoci. In Italia ha vissuto, da sempre, una vita assai grama: a sinistra come a destra, e se è per questo, pure al centro. L’idea che il garantismo valga solo per se stessi e per i propri amici e sodali magari la hanno teorizzata in pochi, ma la hanno praticata in tanti. Stavolta, però, è successo qualcosa di più. E non solo perché ci vanno di mezzo i rapporti tra il governo della Repubblica e la Chiesa di Roma. Un uomo, il direttore di Avvenire, è stato (il neologismo è del Foglio di Giuliano Ferrara) «mostrizzato». La sua vita è stata violentata (l’espressione, terribile, è quella prescelta dal medesimo Boffo in una lettera di dimissioni che andrebbe letta e studiata come un terribile documento dei tempi bui che viviamo). Per motivi tutti politici. Bisognava, costi quel che costi, moralizzare il moralizzatore. Bisognava dimostrare, o pesantemente insinuare, che non aveva alcun titolo per fare la morale a nessuno: come recita l’adagio popolare, anche il più pulito ha la rogna. Bisognava farlo saltare. La missione è riuscita, Dino Boffo si è dimesso.

 

Dirà il tempo se si è trattato di una missione politicamente intelligente (noi pensiamo proprio di no), o se i suoi effetti saranno negativi, e forse addirittura devastanti, come è lecito presagire e temere. Ma il punto, almeno agli occhi di chi si chiede che fine abbiano fatto, in questa bruttissima vicenda, il garantismo e i garantisti, è un altro. Certo, a Boffo non sono mancati nei suoi giorni più difficili pubblici attestati di solidarietà, cominciando da quelli (pur tardivi, e probabilmente non tutti convintissimi) delle gerarchie per finire con quelli (scontati) dell’opposizione. E molte voci si sono (giustamente) levate in difesa della libertà di informazione. Ma non si è sentita una voce forte, autorevole, chiara che si sia levata a dire semplicemente a lui e a tutti gli italiani che un uomo non può e non deve, per nessun motivo, essere «mostrizzato», e che in un Paese civile non ci può essere ragione politica che possa legittimare anche alla lontana l’idea di «violentare una vita».

Non è per amor di polemica. Ma sarebbe stato bene, anche per fondare su basi più salde la complessa questione del rapporto tra i laici e i cattolici, che così avesse parlato da subito, con forza e all’unisono la Chiesa. E sarebbe stato bene, anzi, benissimo, se si fosse levata la voce di Silvio Berlusconi. Che si è limitato a dichiarare la sua estraneità a una campagna che rischia di metterlo in rotta di collisione con la Chiesa, e anzi (curiosa espressione) a dissociarsene; e, a vicenda compiuta, a manifestare il suo dispiacere per le dimissioni di Boffo, oltre che a prenderserla con la «disinformazione» a suo dire dominante. «Non sono mai stato un bacchettone», ha detto il presidente del Consiglio. Su questo, onestamente, nessuno nutre dei dubbi. Ma avrebbe pure potuto, e dovuto, aggiungere, anche se l’aggettivo non è di quelli che vanno per la maggiore: sono sempre stato un garantista. E magari anche ricordare (ciascuno, naturalmente, sarebbe stato libero di credergli o no) che è per amor di garantismo, di difesa della privacy da intrusioni pesanti e violente, di rifiuto inorridito dell’idea stessa che un uomo o una donna, qualunque uomo, qualunque donna, possano essere «mostrizzati», che così duramente combatte chi vorrebbe inchiodarlo a storie di minorenni, di escort e di festini. E infine rompere l’antica e poco commendevole tradizione italiana di cui si diceva all’inizio, e dire a chiarissime lettere che il garantismo non riguarda soltanto se stessi e i propri cari, ma deve essere esercitato erga omnes. Boffo, si capisce, compreso. Ma, si capisce anche questo, non solo Boffo.

E invece? Invece le cose sono andate, come si sa, molto diversamente. E anche di questo ognuno può liberamente ricostruire i perché. Resta il fatto che di un punto di vista civilmente, serenamente garantista, che pure avrebbe potuto e dovuto prendere corpo, come altre volte è accaduto, in forma bipartisan, o comunque trasversale rispetto agli schieramenti politici, o a quel che ne resta, non si è vista sostanzialmente traccia. Bruttissimo segno, in un clima che si va facendo, con il trascorrere dei mesi, delle settimane e adesso addirittura dei giorni, sempre più torbido. Alla guerra dei dossier, come alla divulgazione di rapportini di oscura provenienza in cui si scopre che qualcuno, chissà chi e perché, ci ha «attenzionato» o ci sta «attenzionando», forse dovremo abituarci. Pessima cosa. Ma lo faremmo con un minimo di tranquillità in più se il garantismo e i garantisti ritrovassero la parola.

Paolo Franchi
05 settembre 2009
© Corriere della Sera