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bagnasco-2Giuseppe Baiocchi

Manca solo l’atto ufficiale. Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, viene riconfermato per un secondo quinquennio alla guida della Conferenza Episcopale Italiana.
E’ forse l’unico elemento di tranquilla continuità nella bufera che scuote, ormai con ricorrente ripetitività, i Sacri Palazzi e l’immagine della Chiesa cattolica.

D’altronde le fughe di “Vati-leaks” non sono certo concluse e molti altri veleni di rivelazioni più o meno imbarazzanti sono certamente da attendersi. Finora il centro delle polemiche è quasi sempre stata la gestione della Segretaria di Stato e gli atti del suo titolare, il cardinale salesiano Tarcisio Bertone. Messo sulla graticola non solo e non tanto dalla fazione a lui avversa della diplomazia pontificia (quella ancora legata al predecessore Sodano) quanto dall’irruenza, più o meno scomposta, con la quale aveva tentato di affermare un potere esclusivo sulla complessa situazione italiana.

Le lettere “fuoriuscite” sull’Istituto Toniolo (dove aveva già “nominato” alla presidenza il professor Flick, pensionando il cardinal Tettamanzi, tutt’ora in carica ) o la spinta a papparsi il San Raffaele di don Verzè, oltre alla gestione non cristallina delle finanze, dimostravano un iperattivismo spesso controproducente che ha finito per inquietare non poco lo stesso Benedetto XVI, restìo comunque a liberarsi di un collaboratore sempre fedele, anche se afflitto da un eccesso di zelo confusionario.

E per quanto attiene più nello specifico l’Italia, la Chiesa di popolo e il rapporto con la politica, emerge più affidabile e meno spigolosa la figura di Bagnasco come guida morbida eppur decisa dell’episcopato italiano. Tra le conferenze episcopali del mondo l’Italia è l’unica (assieme a Belgio e alle Chiese latine d’Oriente, per diverse ragioni storiche) che non elegge il suo Presidente: la nomina spetta per statuto al Papa , in quanto vescovo di Roma e Primate d’Italia. Ed è quindi in forza anche di questa investitura che il capo della CEI esercita un’influenza e una rappresentanza non offuscabile.

La sua antica resistenza a finire sotto la tutela della Segreteria di Stato (come gli aveva scritto Bertone all’atto della prima nomina) ha avuto successo, confermato poi nello scorrere degli anni e nella forza delle cose. E questo vale soprattutto nei rapporti con la politica, in una fase di passaggio, nella quale la presenza di cristiani ben ispirati è sentita (perfino dai laici) come un’acuta necessità per il Paese.

Forse la riconferma dell’autorevolezza di Bagnasco (che ha condotto, tra l’altro, alla “chiarificazione” definitiva sulla tassa immobiliare IMU, ex ICI per le attività no profit) acquista anche un significato più ampio nella ricomposizione politica che attende il sistema in vista delle prossime elezioni generali del 2013.

Per riassumerla con un titolo secco è lo strappo della “foto di Todi”, ovvero di quell’incontro dello scorso ottobre nel quale le associazioni sociali e del lavoro dell’intera galassia cattolica italiana disegnavano (tra molti sponsor esterni, a cominciare dal “Corriere della Sera”) l’abbozzo indefinito di una nuova “Cosa Bianca”, ovvero di una formazione politica che radunasse i credenti e si caratterizzasse per un impegno più chiaro sui temi sociali dell’equità e della solidarietà.

Con l’obiettivo neppure tanto nascosto di ricomporre la diaspora
cristiana (e non solo più democristiana) sempre più a disagio da un lato tra i cascami imbarazzanti dell’ultimo berlusconismo e dall’altro tra gli eccessi laicisti della cultura radicale che esercitava a sinistra una piena egemonia. E in questa prospettiva la pre-condizione era quella di lasciare sullo sfondo, quasi in sordina, la battaglia antropologica sui “valori non negoziabili” (vita, famiglia e libertà educativa) su cui si era spesa fino ad allora l’azione della Chiesa.

Già a Todi, a dire il vero, il cardinal Bagnasco aveva gelato il folto uditorio, riproponendo la primazia dei “valori non negoziabili” da cui scaturiscono tutti gli altri, compreso quell’impegno sociale e solidale, che altrimenti sarebbe solo la fisionomia di un’agenzia filantropica. E lo scorrere impetuoso e allora del tutto imprevisto dell’agenda politica degli ultimi mesi ha finito per sbiadire ulteriormente l’immagine (o il fantasma?) di un partito cattolico.

In particolare l’azione credibile e tutto sommato sostenuta dal favore popolare del governo Monti (il Professore è “un laico che va a Messa tutte le domeniche”) rafforza semmai l’idea che il bene comune del Paese e una presenza della religione nel discorso pubblico non abbiano bisogno di un ruolo irreggimentato dei credenti. Piuttosto meglio una condizione di bipolarismo non rissoso e disponibile a forme limitate di unità nazionale. In altre parole anche la Chiesa preferirebbe una ricomposizione politica intorno alle tradizionali famiglie europee, dove moderati e progressisti hanno già le loro rispettive case di riferimento.

Paradossalmente anche la possibile riforma elettorale, in chiave di proporzionale alla tedesca, non sconfessa un maturo bipolarismo di fondo, senza guerre ideologiche, come appunto avviene da mezzo secolo in Germania. E dove l’unità dei credenti è molto più facile e persuasiva se sollecitata su singole questioni e su valori in gioco piuttosto che sotto un simbolo o un’etichetta partitica.

E’ in fondo la strategia della “laicità buona” sulla quale la Chiesa si è interrogata a lungo e sull’onda magari tardiva del Concilio Vaticano II che affida alla piena responsabilità dei laici credenti la nobile arte della politica. Non è un caso che il presidente della CEI la interpreti quasi con testardaggine, costringendo qualche altra sottana paonazza a rimettere nel cassetto il sogno più o meno nostalgico di trovarsi un partito che serva da “instrumentum regni”… 



© www.linkiesta.it - 8 marzo 2012