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BETORIRoberto Monteforte

L’ arcivescovo di Firenze, città medaglia d’oro della Resistenza, cardinale Giuseppe Betori non ha dubbi. È ancora attuale la scelta di farsi “ribelli per amore”. La Chiesa e il mondo cattolico è stata parte viva e attiva di quel «fenomeno di popolo» che è stata la Resistenza, il riscatto del Paese dal Fascismo e dal Nazismo. «La Chiesa non è stata “a vedere”. È stata un soggetto partecipe di questo evento».

In che modo?

«Intanto con l’impegno dei preti e delle parrocchie dei paesi e delle montagne, là dove si svolgeva l’attività partigiana e della forze di Liberazione. I sacerdoti, come sempre, sono stati vicini alla loro gente. Non si sono mai separati dalle vicende del loro popolo. È questa una caratteristica tipica della Chiesa e del clero italiani».

C’è stata anche a un’azione di supporto all’attività antifascista?
«L’arcivescovo di Firenze, cardinale Dalla Costa, prima che si arrivasse alla Liberazione, espresse con chiarezza una sua assoluta estraneità alle ideologie naziste e fasciste. Durante la visita in città di Hitler e di Mussolini il palazzo rimase chiuso, con porte e finestre sbarrate, senza alcun segno di festa, fu quello dell’arcivescovado. Poi, durante i giorni della Liberazione, ci fu un’azione molto intensa di preti, religiose ed anche di laici coordinata dallo stesso cardinale, in particolare nella protezione degli ebrei perseguitati dai nazi-fascisti. Ma non mancò neanche l’appoggio all’attività partigiana da parte di sacerdoti, che mi spiego con l’innato legame tra la Chiesa di popolo e la sua gente».

Vi è stato anche l’impegno diretto dei credenti nella lotta partigiana, dei “Ribelli per amore”?
«Si e non solo a Firenze. Ricordo la vicenda di Montesole, vicino Bologna, con i preti che morirono accanto alla loro gente nelle rappresaglie dei nazisti. Tutte le Chiese d’Italia hanno avuto queste testimonianze di vicinanza alla gente nel momento in cui si trattava di riconquistare la libertà».

Vi è stata anche un’azione educativa della Chiesa, una chiamata all’impegno per la difesa della libertà?
«C’è stata una riflessione sul tema della libertà e dell’unità del Paese che doveva risorgere dopo il regime che aveva privato il Paese della sua vera identità. Il pensiero cattolico si è andato ad unire ad altri filoni di pensiero, ma non come un elemento estraneo. Al contrario. La coscienza di popolo che risorgeva a libertà e solidarietà, si è nutrita del pensiero cattolico non meno di quello di altri filoni culturali. La coscienza dell’Italia che rinasce alla libertà e che, poi, si concretizza nel dettato costituzionale, deve molto alla riflessione del pensiero cattolico. Soprattutto per quanto riguarda il concetto di persona, di una solidarietà che si nutre di una sussidarietà che non omogenizza tutto, ma al contrario esalta i diversi corpi intermedi a cominciare dalla famiglia».

È così che cambia il rapporto dei cattolici con lo Stato?
«È con la Liberazione che si compie il ricongiungimento del cattolicesimo con la Nazione, anche attraverso lo Stato che fino a quel momento era rimasto estraneo, visto che lo Stato unitario era nato in polemica con il mondo cattolico. Questo ricongiungimento, però, non ha mai voluto dire statalismo. È vero il contrario. Basta pensare al principio di sussidarietà inserito nella Costituzione, già presente nella concezione dello Stato dei cattolici impegnati nella lotta di Liberazione».

È così che nasce il «nuovo patto» per ricostruire l’Italia?
«Sì, ma nasce nella sofferenza. Quello della Liberazione non è un tempo facile. È fatto anche di contraddizioni, di lutti, di crisi. Quell’esperienza è istruttiva anche per l’oggi. Siamo alla ricerca di una nuova coesione del Paese per affrontare una crisi che è di tutt’altro genere, ma pur sempre grave. È importante ricordare come da quella postbellica si uscì con l’assunzione della sofferenza per una ritrovata coesione nazionale. Anche oggi abbiamo bisogno che ciascuno si faccia carico del peso e della sofferenza che i tempi ci impongono per un futuro più coeso e solidale».

Quanto è importante avere come riferimento la Costituzione? «Credo che l’ancoraggio alle radici che sono dietro la Costituzione dovrebbero farcela amare e vivere ancora oggi».

Eppure la xenofobia, l’intolleranza, l’antisemitismo e la violenza sono ancora presenti, soprattutto tra i giovani.
«Per questo è necessario un mantenimento vigile della memoria. In questo il mondo cattolico può molto, perché il cattolicesimo vive della memoria, di quella di Cristo e del cammino della Chiesa lungo i secoli e questo insegnamento può essere utile per l’educazione delle nuove generazioni che subiscono la cultura dell’effimero, del tutto consumato nel momento che si vive. Invece, vanno nutrite di un richiamo forte alle grandi memorie che ci edificano, che possono darci l’idea di una solidarietà che rispetta la dignità dell’uomo, di una fraternità che va al di là delle differenze, della ricerca della pace, del rispetto dell’altro. Per i cattolici oggi il problema è quello di tornare ad amare lo “stare dentro la società” e quindi anche l’impegno in politica. Senza paura di cercare le forme in cui esprimere la partecipazione per la realizzazione del bene comune. Consapevoli che per il credente ciascuna forma storica va vista nella prospettiva di un Regno eterno che è sempre oltre le nostre situazioni storiche».

© www.unita.it - 25 aprile 2012 - link diretto http://www.unita.it/italia/cardinale-betori-la-chiesa-fu-attiva-nella-resistenza-1.405043