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ciecadi MARCO BELLIZI

La Consulta ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale in vigore in Italia nelle parti in cui prevede un premio di maggioranza senza una soglia minima di accesso e in cui non prevede che gli elettori possano esprimere la propria preferenza in merito ai candidati presenti nelle liste. Nel dettaglio la Corte costituzionale ha sancito — si legge in una nota — «l’illegittimità costituzionale delle norme della legge elettorale che prevedono l’assegnazione di un premio di maggioranza, sia per la Camera dei deputati che per il Senato della Repubblica, alla lista o alla coalizione di liste che abbiano ottenuto il maggior numero di voti e che non abbiano conseguito, almeno, alla Camera 340 seggi e al Senato il 55 per cento dei seggi assegnati a ciascuna Regione».

La Consulta ha anche dichiarato «l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono la presentazione di liste elettorali “bloccate”, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza». Le motivazioni — ha informato la stessa Corte — «saranno rese note con la pubblicazione della sentenza, che avrà luogo nelle prossime settimane e dalla quale dipende la decorrenza dei relativi effetti giuridici.
Resta fermo che il Parlamento può sempre approvare nuove leggi elettorali, secondo le proprie scelte politiche, nel rispetto dei principi costituzionali». Con queste ultime affermazioni la Consulta chiarisce che la sua decisione non rende decaduto l’attuale Parlamento, e quindi tutti gli organi che questo determina o contribuisce a determinare nella sua formazione. Intanto perché, come spiegato, la sentenza produrrà effetti solo a partire dalla pubblicazione delle motivazioni. E poi, perché, come ha esplicitato chiaramente la Corte, il Parlamento «può sempre approvare nuove leggi elettorali». Evitato in questo modo che, per effetto della sentenza, il Paese possa precipitare in un grave cortocircuito istituzionale, si pone con evidenza il problema politico. E morale. La sentenza infatti sancisce l’opinione comune, secondo la quale la legge elettorale in vigore è stata creata, nel 2005, con finalità strumentali e con evidenti disparità nella rappresentanza del Paese. E dimostra ancora una volta come il potere giurisdizionale continui a essere chiamato a supplire alle continue mancanze del legislatore e dei Governi che si sono succeduti fino a questo momento. Dal punto di vista strettamente politico, la sentenza ha come effetto quello di costringere i partiti italiani a produrre finalmente una legge elettorale, dopo anni di impegni non mantenuti, oppure a tornare al sistema proporzionale precedente. Se il Governo appare più saldo, anche per la paura delle incognite che porterebbe una crisi in queste circostanze, l’opposizione, per cause e con accenti diversi, ha nuovi motivi per inasprire il confronto. È lecito aspettarsi, e i primi commenti in Italia lo confermano, una costante campagna di delegittimazione politica del Parlamento, per ricadere a cascata sul Quirinale e sulla stessa Consulta. La partita ora si gioca sulla riforma della legge elettorale. Ed è facile prevedere che si tratterà di una partita dura, perché sono in ballo equilibri interni ai partiti e agli schieramenti. Una nuova legge ci sarà comunque, e con questa un ostacolo in meno lungo la strada che conduce alle elezioni anticipate. Ma sarà difficile conciliare le esigenze di partiti a vocazione maggioritaria, come il Partito democratico e Forza Italia, con altri che al momento hanno più incertezze in merito al proprio futuro schieramento e alle future alleanze, come per esempio il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano.

© Osservatore Romano - 6 dicembre 2013