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Nessuno vuole affrontare seriamente la questione. Anche i giornali che erano soliti intervenire a favore dei più spregiudicati "progressi" della scienza questa volta tendono al silenzio, e se uno cerca di parlarne, magari a voce, ad amici e conoscenti, si sente rispondere che si tratta di ipotesi impossibili, che si sta esagerando, che queste cose non possono succedere, che si diffondono allarmismi fuori luogo.
Benedetto XVI invece lo ha ripetuto in diversi recenti interventi, lasciando trasparire l’angoscia di chi vede un pericolo gravissimo incombere su una umanità indifferente: «In queste situazioni – ha sottolineato appena sabato il Papa con dolorosa lucidità – la coscienza, talora sopraffatta dai mezzi di pressione collettiva, non dimostra sufficiente vigilanza circa la gravità dei problemi in gioco, e il potere dei più forti indebolisce e sembra paralizzare anche le persone di buona volontà».

E invece i segni di questa profonda trasformazione in senso drammaticamente negativo della cultura attraverso la manipolazione dell’essere umano sono tutti lì, davanti a noi, e si manifestano con una tempestività che supera anche le peggiori previsioni: mentre sia gli Stati Uniti sia l’Unione Europea sembrano superare ogni remora, concedendo ufficialmente che siano finanziati progetti di ricerca sugli embrioni umani, in Gran Bretagna la linea ultralibertaria sta facendo passi da gigante. Prima è stata legalizzata dal governo la compravendita degli embrioni, poi si sono avute significative aperture verso i progetti di ricerca che si basano sulla formazione di embrioni misti provenienti da uomini e animali (le cosiddette chimere), e ora sembra aprirsi la possibilità di intervenire sugli embrioni prima dell’impianto con manipolazioni di tipo eugenetico.

Questo panorama spaventoso – che comprende anche l’affermarsi della ideologia del gender, che nega la bipolarità sessuale del genere umano con il fine di aprire le porte del matrimonio e della procreazione agli omosessuali – è stato denunciato anche da scienziati laici come i francesi Didier Sicard (presidente del comitato bioetico d’Oltralpe) e Jacques Testart. Essi segnalano il pericolo di una nuova eugenetica, più insidiosa di quella che si è manifestata negli anni Trenta del Novecento, gestita dallo Stato in vari Paesi occidentali e che toccò il suo apogeo nella Germania nazista. Si tratta infatti di una pratica eugenetica individuale, in apparenza fondata sulla libera scelta, che si opera non per motivi razziali ma per migliorare la qualità della vita, e soprattutto per il «bene del nascituro». Facendo passare come ovvia l’idea che per una persona malata o menomata sia meglio non nascere che vivere. Naturalmente senza chiedere il suo parere. E questo anche se molte associazioni di disabili si sono espresse con chiarezza in proposito: per i loro rappresentati la vita costituisce comunque un bene a cui non vogliono rinunciare.

Dietro questa apparente libertà – che investe anche la morte, con il diritto di eutanasia – ci sono anche concrete ragioni economiche: per un’assistenza pubblica colpita da una crisi destinata a peggiorare per il crollo delle nascite è più economico impedire la nascita, o affrettare la morte, piuttosto che garantire buoni centri di assistenza medica per i malati gravi e i disabili. Di queste motivazioni economiche, però, nessuno fa parola; solo, ogni tanto, si sa quanto un Paese, per esempio, abbia risparmiato grazie all’eliminazione di bambini malati: oggi per mezzo dell’aborto terapeutico, domani attraverso la selezione degli embrioni.
Sugli adulti l’operazione è più ardua, almeno fino a quando essi hanno capacità di parola, perché di solito si oppongono. Ci si stupisce vedendo come il carattere di fatto criminoso insito in certe scelte passi inosservato: questa indifferenza trae origine da una mentalità diffusa che valorizza la potenza umana, intesa non solo come capacità di controllo sulla natura, ma soprattutto come libertà assoluta di pensare e di agire, cioè di essere padroni della propria vita, mentre virtù un tempo coltivate, come la pazienza e l’obbedienza, sono cadute in totale discredito.

Si sta affermando – soprattutto da parte di coloro che hanno sostenuto in passato un radicalismo politico di matrice socialista – una sorta di radicalismo morale, che divide il mondo tra colpevoli e vittime. Mentre, fino a qualche decennio fa, le vittime erano gli abitanti del Terzo mondo, o i poveri di casa nostra, oggi vengono indicate come vittime i sofferenti, siano essi disabili o malati gravi. Ma alle vittime di questa sofferenza – percepita come gravemente ingiusta, come sempre il male, specie al di fuori di ogni visione religiosa del mondo – quale unico orizzonte di liberazione viene offerta la morte. Non una migliore assistenza, non nuovi investimenti nella scienza per trovare nuovi rimedi, ma la soppressione del sofferente sotto forma di eutanasia o di selezione eugenetica.
Con un paradossale rovesciamento, sono indicati come colpevoli di quella "inutile" sofferenza quanti vogliono curare e difendere la vita. Vittime della crudeltà di costoro sarebbero i sofferenti a cui viene impedito – per ora, ma forse ancora per poco – di scomparire. È un quadro paradossale che viene continuamente riproposto: dopo il caso Welby, eccone uno nuovo in Sardegna, mentre si moltiplicano i casi di genitori che chiedono la selezione genetica per avere un figlio sano e di cui vengono mostrati i visi addolorati. Senza contare poi i malati che protestano perché la Chiesa impedirebbe il progresso della ricerca sugli embrioni che assicurerebbe loro sicura guarigione.

Gli intellettuali che in passato si sono proposti come redentori dell’umanità con il cambiamento sociale, oggi lo fanno con questo progetto di morte: anche in questo caso, e in circostanze molto più drammatiche, la retorica della liberazione dal male esige la rinuncia al rispetto della dignità umana.
Continuiamo a stupirci che in una società in cui i cani e i gatti sono trattati meglio dei bambini – è di pochi giorni fa la notizia che è in commercio un’acqua minerale per gli animali domestici – nessuno si preoccupa del destino di quelle chimere o ibridi, esistenze umane al 99% che serviranno da materiale da laboratorio per sperimentare clonazioni, tutte rigorosamente «a fine terapeutico». Anche se fosse davvero così, è orribile pensare che la nostra salute possa venire dallo sfruttamento di altri esseri, per quanto non del tutto umani.

Ma, ciechi, ci limitiamo a registrare passivamente «il progresso della scienza», dimenticando che già i miti ci avevano messo in guardia – con Prometeo, con Icaro, con il Golem – su quanto sia pericoloso sfidare i limiti travolti da una volontà di potenza.
L’aveva detto con chiarezza Cartesio: «È meglio cambiare i propri desideri che l’ordine del mondo».