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bioetica-1Smarriti tra le notizie che annunciano la creazione degli embrioni-chimera, la morte della famiglia, l’avanzata strisciante dell’eugenetica, a volte trascuriamo di sottolineare adeguatamente le nostre vittorie. Invece è importante sapere che le battaglie a difesa della vita umana, se ben condotte, si possono vincere, anche senza disporre dei grandi mezzi di comunicazione di massa, e anche se la forza soverchiante dell’avversario sembra ridurci a una condizione di assoluta minoranza. È accaduto così per il referendum sulla procreazione assistita, e oggi sta accadendo per l’introduzione, in Italia, della pillola abortiva Ru 486.

Pochi giorni fa il governo ha riconosciuto che l’aborto con il metodo chimico è sostanzialmente incompatibile con la normativa italiana. Stremati dalla implacabile sequenza di interrogazioni parlamentari presentate da Luca Volonté e Luisa Santolini, i sottosegretari alla Salute che sono stati chiamati a rispondere a nome del ministro Turco hanno abbandonato ogni ambiguità, accettando in pieno le ragioni degli interpellanti. In sintesi: chi somministra la pillola Ru 486 non può lasciare che le pazienti tornino subito a casa, trasformando così l’intervento in un aborto a domicilio. Il governo ritiene tuttora valido il parere espresso dal Consiglio Superiore di Sanità, secondo il quale l’aborto farmacologico comporta un livello di rischio equivalente a quello chirurgico solo se praticato nelle strutture pubbliche, dove la donna dovrebbe rimanere «fino a completamento dell’aborto e delle cure del caso». È evidente che ammettere questo vuol dire annullare il vero vantaggio, politico e tecnico, della pillola. Ovunque, nel mondo, usare la Ru 486 vuol dire abortire a casa, senza nessuna delle garanzie sanitarie e sociali previste dalla nostra legislazione. Questo scarica le strutture pubbliche e i medici dal peso degli interventi abortivi, ma lo trasferisce tutto sulle donne, a cui vengono consegnate le pillole, gli antidolorifici, un foglietto con le istruzioni e una serie di condizioni da rispettare (come quella di non allontanarsi mai troppo da un ospedale attrezzato per le trasfusioni), e tanti saluti.

Una volta che la paziente ha firmato il consenso informato, dove magari gli effetti collaterali e gli eventi avversi vengono sottovalutati, l’organizzazione sanitaria può lavarsene le mani. Che importa se le donne restano sole con i propri dubbi, le ansie, l’emorragia da controllare e la nausea e i crampi da sopportare? Che importa se il rischio di morte è 10 volte più alto che con il metodo chirurgico, se il procedimento è lungo, incerto e doloroso, se oltre la metà delle donne, dovendo verificare le perdite di sangue, riconosce l’embrione espulso? Che importa se la prima parte della legge sull’interruzione di gravidanza, quella sulla prevenzione, diventa non solo inattuata, ma inattuabile?

Per chi l’ha sostenuta, la Ru 486 doveva portare soprattutto al progressivo smantellamento della legge 194, seguendo il percorso già efficacemente sperimentato in Francia; lì, infatti, la diffusione del metodo chimico ha creato una situazione di fatto che ha costretto i legislatori, dopo qualche anno, a modificare la normativa. Questo era, ed è, l’obiettivo politico della battaglia sulla Ru 486, e non certo aiutare le donne ad abortire con meno sofferenza.
La seconda ammissione del Ministero della Salute è più tecnica, ma definitiva. Il sottosegretario Patta ha ribadito che con la nuova legge finanziaria non è più possibile usare i farmaci "off label", cioè al di fuori dei protocolli autorizzati dall’ente di controllo farmacologico italiano. Questa affermazione rende l’aborto chimico impraticabile in Italia. Infatti l’azienda che distribuisce la prima delle due sostanze necessarie, il mifepristone (indicato anche con la famosa sigla Ru 486) non ha mai voluto registrarla nel nostro Paese, mentre la seconda sostanza, il misoprostol, in nessuna parte del mondo è stato registrato come abortivo, ma solo come anti-ulcera. In questo modo le case farmaceutiche si proteggono da eventuali cause legali per danni, scaricando la responsabilità sui medici o sulle strutture sanitarie. Tanta cautela lascia chiaramente capire quale fiducia le aziende nutrono nella sicurezza ed efficacia dei loro stessi prodotti.

Abbiamo dunque ottenuto una vittoria significativa, ma resta ancora molto da fare. Prima di tutto bisogna verificare che le regioni in cui, grazie all’appoggio politico dei Consigli regionali, alcuni ospedali importano direttamente dall’estero la Ru 486, si adeguino ai divieti. È necessario per esempio che Enrico Rossi, assessore alla Sanità della Toscana, la regione leader nell’uso della pillola abortiva, prenda atto di quanto ha affermato il sottosegretario Patta, e così facciano le altre regioni (almeno 7) dove la pratica fuori legge dell’aborto chimico si è insediata. A Trento, ad Ancona, a Bologna, a Pisa o a Siena, i responsabili della Sanità devono ricordarsi di rispettare la legge, e soprattutto le donne, a cui sono state raccontate tante clamorose menzogne.

Siamo stati descritti come una retroguardia astiosa e reazionaria, che lotta contro il progresso scientifico; in questo caso contro la possibilità di interrompere la gravidanza con un metodo meno rischioso e invasivo. Non è così. La scienza ci è amica, e noi lo sappiamo: è l’informazione scientifica (sarebbe meglio definirla disinformazione) che è troppo spesso scorretta, approssimativa, parziale o addirittura consapevolmente bugiarda. Non si spiegherebbe altrimenti perché per mesi si è insistito a dire che l’aborto chimico è meno doloroso, quando in tutti gli studi e i protocolli attuativi si poteva leggere l’esatto contrario; o ancora perché pochissimi abbiano parlato delle donne morte, negli Usa e in Europa, a causa di un’infezione misteriosa (il Clostridium sordellii) collegata all’uso della Ru 486; o perché su Wikipedia, l’enciclopedia online, si possano ancora leggere sulla pillola abortiva assurdità che nessuno corregge.
Abbiamo opposto una paziente, ostinata, puntigliosa opera di verità a tutte le bugie ideologiche, strumentali e antiscientifiche che sono state diffuse. È stata la fionda di Davide che ha colpito Golia.