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grassoMirko De Carli

L’avevamo detto sulle colonne de La Croce più volte: le procedure adottate dal Presidente Grasso in aula al Senato per la discussione e le votazioni inerenti il ddl Cirinnà bis sono contrarie ai principi costituzionali e al regolamento parlamentare di Palazzo Madama. Prova e conferma di questo l’abbiamo con la presentazione, da parte di quaranta senatori con capofila il sen. Carlo Giovanardi, del ricorso alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione. Entriamo nel merito della vicenda.

I fatti che hanno addotto i senatori in questione a muovere una tale azioni sono i seguenti (riportati anche nell’atto):

– Violazioni delle prerogative dei senatori;
– Decisione impropria della conferenza dei capigruppo, in accordo col Presidente del Senato, di esercitare il potere di ‘calendarizzare’ il ddl Cirinnà bis in aula a far data dal 14 ottobre 2015 in pretesa, ma falsa, applicazione dell’art.44 co. 3 del regolamento del Senato a mente del quale ‘scaduto il termine il disegno di legge è preso in considerazione, in sede di programmazione dei lavori, per essere discusso, anche senza relazione, nel testo del proponente, salvo che l’Assemblea conceda su richiesta della Commissione, un nuovo termine di non oltre due mesi, compatibile con l’attuazione del programma dei lavori’. Il tutto senza neppure consentire al Presidente della commissione di esprimersi in proposito;
– Menomazione grave delle funzioni dei Senatori facenti parte della Commissione, della minoranza parlamentare e, più ampiamente, di tutti i membri della Camera Alta, senza alcuna ragione, tantomeno giuridica, ad esprimere le proprie opinioni e i propri voti su un testo che non ha seguito il prescritto iter di cui all’art.72, comma 1 e 4 della Costituzione.

Questo breve riepilogo dei fatti ci consente di entrare nel merito della questione ‘di diritto’ illustrata nell’atto di ricorso alla Corte Costituzionale: al punto primo si declinano le ragioni del legittimazione del singolo parlamentare a sollevare conflitto di attribuzioni nei confronti della Camera di appartenenza (in particolare si fa riferimento al diritto del parlamentare di esigere che i regolamenti, espressamente richiamati dall’72 comma 1 della Costituzione, siamo formulati, interpretati ed applicati conformemente a Costituzione e, quindi, in modo tale che siano salvaguardate le sue prerogative di partecipazione effettiva al procedimento legislativo in tutte le fasi in cui si articola) e al punto secondo si illustrano gli atti violativi denunciati e le attribuzioni violate, spiegando che si tratta di ‘atti commissivi ed omissivi singolarmente e nel loro insieme intesi a violare, direttamente o per elusione, precisi disposti costituzionali e le conferenti norme regolamentari che, anche in relazione agli artt. 67, 71 e 72 della Costituzione, devono costituirne attuazione e svolgimento, onde renderli effettivamente operanti, anche a tutela dei singoli parlamentari’.

Pertanto si presenta un paradosso (ben dettagliato nel ricorso curato dall’Avv. Mario Esposito): o la ‘congiunzione’ del ddl 2081 al testo unificato ha rinnovato il termine per l’esame del ddl o, decaduto il testo unificato, per il ddl 2081 non era ancora decorso il termine regolamentare per l’esame in commissione. In entrambe le ipotesi è certo che il Presidente del Senato e la Conferenza dei capigruppo non avrebbero potuto legittimamente inserire il ddl della Sen. Cirinnà nel calendario d’aula, sottraendolo alle prerogative ed all’esercizio delle funzioni spettanti ai componenti della commissione giustizia.

Detto questo l’appello rivolto alla Corte Costituzionale da parte dei quaranta senatori capeggiati da Carlo Giovanardi ha come finalità la definizione del conflitto di attribuzioni accertando che:

– non spettava al Presidente del Senato e alla Conferenza dei capigruppo il potere di disporre, senza previo inserimento nel programma dei lavori, la calendarizzazione in assemblea del ddl Cirinnà bis sul quale la commissione giustizia, a cui era stato assegnato, non aveva ancora avviato l’esame di sua competenza;
– non spettava al Presidente del Senato di sottoporre all’esame ed alla deliberazione dell’Assemblea il suddetto ddl 2081 sul quale è stato impedito alla commissione giustizia di svolgere le proprie funzioni;
– non spettava al vicepresidente della commissione giustizia del Senato disporre l’abbinamento del ddl Cirinnà bis al testo unificato già adottato dalla Commissione senza aver consentito al collegio l’esame e la conseguente deliberazione sul punto;
– sono state impedite, sottratte e menomate le attribuzioni assegnate ai ricorrenti senatori per effetto delle determinazioni illegittimamente assunte dal Presidente del Senato e dalla Conferenza dei capigruppo (nell’esercizio di poteri ad essi non spettanti).

Come potete ben vedere penderà sul ddl Cirinnà bis, nell’eventualità di una sua doppia deliberazione al Senato ed alla Camera, un bel macigno sulle spalle della Presidenza della Repubblica alla quale spetta l’onere e la responsabilità di firmare il disegno di legge per la sua promulgazione in Gazzetta Ufficiale. Questa azione ha lo scopo di alzare il livello di guardia rispetto agli abusi continui compiuti dalla maggioranza in merito all’applicazione delle procedure parlamentari ma anche di rendere ancora più evidente l’inconstituzionalità a 360 gradi del provvedimento.

Bene ha fatto anche il Prof. Gandolfini a dichiarare l’intenzione del Comitato ‘Difendiamo i nostri figli’ di sostenere alle prossime amministrative quei sindaci che saranno impegnati nella lotta contro il ddl sulle unioni civili. Occorre portare la battaglia in ogni ambito affinché tutti, anche quelli meno informati, abbiamo consapevolezza della sfida epocale che stiamo vivendo.

Articolo pubblicato in esclusiva su La Croce Quotidiano