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Da E' Famiglia. no_dico Sul riconoscimento giuridico delle unioni di fatto, prima di ogni considerazione
etica o sociale, c’è un dato oggettivo da cui non si può prescindere: la Costituzione italiana. È la Carta fondamentale, infatti, che indica al legislatore ordinario quali siano i valori fondanti del nostro ordinamento. E mai come in questi ultimi mesi abbiamo assistito al tentativo di interpretarla più o meno capziosamente, di "piegarne" gli articoli a seconda delle convenienze
. Proviamo allora a fare un po’ di chiarezza interpellando Marta Cartabia, Ordinario di diritto costituzionale all’Università di Milano Bicocca.
L’articolo 29 della Costituzione afferma che «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio»: che cosa intende il legislatore per società naturale?
Il richiamo della Costituzione alla famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio» è un’apertura a un dato che precede logicamente e storicamente il diritto, a un concetto generalmente condiviso di famiglia, che fa riferimento all’unione di un uomo e di una donna in vista della nascita dei figli. Non è un caso che nel testo della Costituzione italiana subito dopo l’articolo 29 vengano gli articoli 30 e 31 che immediatamente ricollegano la famiglia alla procreazione e alla educazione dei figli. Qualcuno potrebbe obiettare che non esiste un concetto universale di famiglia, perché l’istituto familiare è cambiato nel corso della storia: la famiglia patriarcale, la famiglia matriarcale, la famiglia allargata e così via. In questa obiezione c’è del vero: vi sono aspetti della famiglia che sono stati profondamente influenzati da fattori culturali, economici, sociali. Tuttavia non è difficile individuare un nucleo invariabile nel concetto di famiglia, dato dall’unione di un uomo e di una donna in vista della procreazione. Possono cambiare le forme e le dimensioni, i rapporti interni, il ruolo dei coniugi e molti altri aspetti ancora. Ma vi è un dato costante nel tempo e nello spazio che ci permette di ricondurre all’idea di famiglia esperienze pur molto diverse fra loro. È a questo nucleo costante nel tempo e nello spazio che la Costituzione rinvia quando usa l’espressione società naturale. Invocare un’interpretazione evolutiva della Costituzione per far rientrare nella tutela dell’art. 29 nuove forme di convivenza non mi pare corretto. Il valore più importante del richiamo alla famiglia come società "naturale" è che esso indica che la famiglia non è creata artificialmente dallo Stato o dall’ordinamento giuridico. Il diritto e la legge ci offrono una disciplina per regolare i rapporti familiari, ma non è loro compito creare la famiglia. La Costituzione non crea la famiglia, ma la riconosce, la tutela, la sostiene, la regola, la disciplina. La famiglia preesiste allo Stato, al diritto e alla Costituzione, perciò si dice che è una società naturale.

Perché tale tipo di unione merita un’apposita menzione nella Costituzione? Quali sono le implicazioni giuridiche e politiche che ne derivano?
L’istituto familiare viene riconosciuto come un bene per tutta la società, anche da un punto di vista sociale, culturale ed economico, tanto che «la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi» (art. 31 Cost.). Dunque la Costituzione non solo riconosce e rispetta la vita familiare, ma fa molto di più: si impegna a sostenerla – la agevola – per l’apporto che essa può dare al bene di tutti, al bene comune. Si tratta di uno dei principi più negletti ed inattuati di tutta la Carta Costituzionale. È incredibile constatare come nell’agenda politica dei nostri governi e dei nostri Parlamenti per tutti questi anni – quasi 60 ormai – la famiglia non sia mai entrata fra le priorità. La famiglia in Italia non è mai stata oggetto di seri interventi di sostegno economico né di altro tipo.

I sostenitori di una legge sulle coppie di fatto affermano di poter trovare una tutela giuridica nell’articolo 2 della Costituzione. Che cosa differenzia tale tutela, prevista genericamente per le formazioni sociali, da quella specifica prevista per il matrimonio?
Naturalmente l’articolo 2 e il riferimento che esso contiene alle formazioni sociali in cui si svolge la personalità può valere anche per le convivenze di fatto. Non c’è dubbio. Le formazioni cui si riferisce l’articolo 2  ricomprendono una vasta gamma di esperienze: dalle formazioni naturali – famiglia, convivenze, ecc. – a formazioni sociali "artificiali", associazioni, comitati, circoli ricreativi, gruppi sportivi. L’unico limite è che queste formazioni non perseguano un disvalore: nessuno potrebbe invocare le formazioni sociali dell’articolo 2 per chiedere garanzia costituzionale per una associazione di pedofili o per un gruppo mafioso o per un gruppo di terroristi. Chiarito questo punto, qual è la conseguenza? La conseguenza è la libertà di dare vita a queste formazioni sociali e quindi la liceità della loro esistenza. Nessuno le può vietare perché sono protette dalla Costituzione. Non si può invece desumere dalla copertura dell’articolo 2 della Costituzione l’obbligo di uno specifico intervento del legislatore a tutela di tali formazioni, né tanto meno si può immaginare che intervenga la Corte costituzionale a dichiarare l’incostituzionalità delle leggi civili italiane che non prevedono i Pacs, i Dico o istituti simili. L’assenza di una specifica legge sulle coppie di fatto non configura, a mio parere, nessuna violazione della Costituzione.

Ma allora quanto previsto dall’articolo 29 della Costituzione esclude che il legislatore tuteli in modo analogo anche altri tipi di unioni? Una legge sulle coppie di fatto in Italia potrebbe presentare dei profili di incostituzionalità?
Il legislatore non è obbligato dalla Costituzione a disciplinare le coppie di fatto. Se intendesse farlo, dovrebbe però rispettare il quadro costituzionale, così come interpretato dalla Corte costituzionale. La giurisprudenza della Corte ha già avuto modo di intervenire sulla equiparabilità delle convivenze di fatto alla famiglia. Pur riconoscendo alcuni singoli diritti alle coppie che convivono more uxorio (il diritto all’abitazione, ad esempio), la Corte ha un punto chiaro nella sua posizione: che il riconoscimento dei diritti di queste coppie non può mai arrivare alla piena equiparazione ai diritti della famiglia. Questo perché l’articolo 29 vorrebbe una tutela privilegiata alla famiglia come società naturale. Il secondo principio da tenere presente è allora quello dell’eguaglianza, perché se la famiglia e le convivenze di fatto sono realtà simili, ma non del tutto equiparabili, esse non possono ottenere un eguale trattamento giuridico. Infatti, il principio di uguaglianza nella nostra Costituzione, articolo 3, opera secondo l’elementare e fondamentale criterio per cui sul piano giuridico debbono essere trattate in modo eguale situazioni eguali. Ma anche che debbono ricevere un trattamento differenziato sul piano giuridico situazioni che di fatto sono diverse. Allora l’uguaglianza è violata sia quando si discrimina ingiustamente, sia quando si equiparano indebitamente due situazioni che invece sono diseguali sul piano della realtà di fatto. La famiglia, nella Costituzione italiana e nei fatti, è una cosa diversa dalla convivenza. Inoltre bisogna tenere presente che quando si introduce un "nuovo diritto" si incide, volenti o nolenti sul quadro complessivo dei diritti preesistenti. Per questo i costituzionalisti da sempre affermano l’immodificabilità della prima parte della Costituzione, quella dedicata ai diritti fondamentali e sono sempre stati molto prudenti di fronte ai cosiddetti "nuovi diritti fondamentali". Oggi questa posizione andrebbe un po’ riconsiderata, perché il rischio è che per salvaguardare teoricamente il carattere sacro e inviolabile della prima parte della Costituzione si finisca per consentire che essa sia surrettiziamente modificata con leggi ordinarie o, peggio ancora, attraverso interventi di giudici italiani o europei. Proprio per salvaguardare l’inviolabilità dei diritti già riconosciuti sarebbe oggi necessario che quando si vuole introdurre un nuovo diritto che altera il bilanciamento complessivo della tavola dei valori costituzionali si passi per la procedura dell’articolo 138 della Costituzione (maggioranza assoluta in Parlamento e referendum), che richiede un consenso ampio, superiore a quello della contingente maggioranza politica. Mi permetta un’ultima battuta: in materia l’Unione europea non ha competenze e la Carta di Nizza non impone nessuna legislazione sui Dico o sui matrimoni gay agli Stati membri.