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Da E' Famiglia - Avvenire.
«Ora serve un gesto forte di attenzione alla famiglia, il segnale che si è imboccata una strada diversa rispetto al passato. Qualcosa che faccia capire che finalmente si considera la famiglia come soggetto e non semplice somma di individui». Con alle spalle la grande manifestazione di Piazza San Giovanni e davanti la conferenza nazionale di Firenze, Vera Negri Zamagni, docente alla facoltà di economia dell'Università di Bologna spiega così le attese che si accendono nei confronti dell'appuntamento organizzato dal ministero della famiglia. Parafrasando Nanni Moretti si potrebbe riassumere: Governo, dì qualcosa di familiare.

Professoressa, facciamo un passo indietro: la manifestazione del 12 maggio aveva suscitato qualche perplessità e riserva anche in una parte (minoritaria) del mondo cattolico. Al di là dell'indubbio successo di partecipazione e dei contenuti che hanno fatto giustizia di tante strumentalizzazioni, lei crede che sia stato utile per la famiglia "scendere in piazza"?
Senza alcun dubbio. Le famiglie hanno fatto benissimo a rendersi visibili, a dire: noi ci siamo e siamo così, abbiamo queste difficoltà, scontiamo queste disattenzioni. E non solo perché in una società dell'immagine come la nostra non si è presi in considerazione se non si appare, se non ci si rende visibili. Quanto soprattutto perché occorreva materializzare finalmente la consapevolezza e l'orgoglio del proprio ruolo. La famiglia è la cellula fondante della società, ed è stato importantissimo ricordarlo a tutti in maniera plastica, evidente, senza equivoci, come è avvenuto a piazza San Giovanni. Ancor più in un momento come questo, nel quale la famiglia è sottoposta a un pesante attacco.

Sotto attacco su quale piano: culturale o materiale, economico?
Entrambi. Da un lato ci sono le difficoltà economiche che si scaricano sulla famiglia. E un mercato del lavoro che non ha saputo modificarsi di pari passo con l'ingresso sempre più massiccio delle donne. Così che le regole, le relazioni, le modalità di lavoro nella gran parte delle aziende sono ancora quelle costruite quando a lavorare era solo il capofamiglia maschio. Certo ci sono imprese "illuminate" - penso ad esempio alla Bracco - che hanno saputo valorizzare il capitale umano femminile, aiutando le donne nella conciliazione dei tempi fra lavoro professionale e lavoro di cura. Ma per la stragrande maggioranza non è così.

Mentre sul piano culturale...
La pressione ideologica è ancora più forte. La famiglia è contestata proprio nel suo ruolo, nella sua natura. Tutto sarebbe famiglia, senza valenza pubblica, l'individualismo innalzato a sistema... Si è ricordato l'anniversario del referendum sul divorzio, ma oggi assistiamo a un attacco ben peggiore rivolto alla famiglia. Allora si mise in discussione "solo" l'indissolubilità del matrimonio, senza però annullarlo. Oggi invece è proprio questo che si contesta: il ruolo del matrimonio e della famiglia come base della società.

Il Family day ha messo in evidenza tante esigenze delle famiglie, molte difficoltà nelle quali si dibattono. Quali sono secondo lei le priorità sulle quali chiedere un intervento chiaro del governo?
La priorità delle priorità è di metodo: affrontare i problemi delle famiglie non solo con politiche sociali mirate ai singoli componenti, ma guardando alla famiglia come a un soggetto, non come somma di diritti individuali, ma come una "società". Finora infatti è mancata questa visione e - paradossalmente - si è applicato alla famiglia il rovescio di ciò che si fa con i Dico. Questi dovevano garantire i diritti individuali e invece hanno finito per configurare una nuova forma familiare. Alle famiglie fondate sul matrimonio, invece, si danno diritti individuali. Più in concreto gli ambiti su cui agire sono sicuramente il fisco, i servizi e il welfare, tutti da ridisegnare a misura di famiglia.

Partiamo dal fisco: sul campo c'è da tempo la richiesta di applicare il cosiddetto «quoziente familiare» che tiene in maggior conto il numero dei componenti. Il governo, però, sostiene che è troppo costoso, frenerebbe la partecipazione femminile al mercato del lavoro e favorirebbe troppo i redditi più alti. Eppure in Francia funziona...
In Francia è stato introdotto nel Dopoguerra proprio per rispondere a una forte crisi demografica e ha dimostrato di dare ottimi risultati. Io credo che si possa applicare anche in Italia. Se le obiezioni ricordate prima sono reali, studiamo quali correttivi occorre applicare, quale gradualità nell'introduzione sarà necessario osservare. Se proprio il governo non ne vuol sapere, che indichi almeno delle alternative altrettanto valide. Si può parlare ad esempio di forti deduzioni, 4-5mila euro per ogni figlio, o di altre misure. Sarebbe inaccettabile, però, prendere queste obiezioni come scusa per continuare a non fare nulla.

C'è poi il tema dei servizi, del welfare e della spesa pubblica per la famiglia che in Italia è particolarmente bassa.
Qui la responsabilità è di tutti i governi che si sono succeduti. Oggi l'Italia spende circa lo 0,9% del Pil, un terzo di quanto fanno Francia e Germania, un quarto di altri Paesi più sensibili. In Germania hanno appena varato un piano per triplicare il numero dei posti negli asili nido entro 6 anni. E da noi? Certo occorre restare dentro le compatibilità economiche, ma già a partire dalle risorse disponibili del cosiddetto "tesoretto" è necessario dare un segnale importante della direzione che si vuole intraprendere.

Non c'è il rischio, però, che ancora una volta si pensi alla famiglia come "oggetto" di aiuti, anziché come "soggetto", in chiave sussidiaria?
Sì, infatti restando all'esempio degli asili nido, personalmente preferisco il sistema francese, nel quale attraverso un trasferimento monetario viene lasciata libertà di scelta alle madri se restare a casa, se pagare una baby sitter o affidarsi a un nido. Andrebbe fatto anche da noi, affinché le donne fossero davvero libere di scegliere se lavorare e come. Oggi invece questa libertà è negata comunque dall'assenza di servizi. Siamo talmente indietro che qualsiasi cosa si faccia sarebbe un miglioramento.